27 gennaio: Giorno dell’ipocrisia, non solo della memoria

Filippo Rigonat
27/01/2025
Radici

Come ogni 27 gennaio, anche quest’anno non si contano le voci espressive di compassione, indignazione, raccapriccio e compianto in memoria dei morti causati dalla Shoah dal 1933 al 1945. Voci sdegnate, commosse, eticamente toccate; provenienti dai più autorevoli intellettuali e uomini politici in larga parte idoli dei salotti moralizzatori della sinistra europea. Voci rotte dall’emozione, gonfie di lacrime, integerrime nel ripudiare il tragico sterminio nazista e quanto mai solidali nei confronti della causa ebraica al logoro grido: “mai più!”

Tutto questo il 27 gennaio; dal 28 finalmente ripuliti questi figuri potranno rimettere l’hijab e continuare a condannare sdegnati la reazione “disumana” del popolo d’Israele e allo stesso tempo “contestualizzare” l’operato di Hamas successivo ai fatti del 7 ottobre 2023.

Ma cosa sarà mai successo quel 7 ottobre? Quali barbari crimini avranno compiuto le brute forze terroristiche dello Stato di Israele contro gli indifesi democratici di Hamas per indignare le piazze occidentali a tal punto da convocare manifestazioni dichiaratamente Pro-Hamas, ottenendo pure il tacito assenso della sinistra globale? Nulla di tutto questo, il 7 ottobre 2023 i terroristi jihadisti di Hamas hanno sferrato un brutale attacco multiplo nel territorio internazionalmente riconosciuto dello Stato di Israele, uccidendo 1224 cittadini israeliani, di cui 880 civili, rapendone circa 250. (Per maggiori dettagli, leggi qui: Israele e Palestina: guida per inesperti).

Il giorno seguente, venne pubblicata sui social un’immagine che ritraeva tronfi l’allora leader di Hezbollah Hasan Nasrallah, il vice-capo di Hamas al-Arouri, e il capo della Jihad islamica Ziad Nakhle. L’oggetto dichiarato della discussione non era certo la nascita dello Stato Palestinese, soluzione derisa dai tre aspiranti Hitler, bensì “la pulizia della Terra santa dalla presenza dei maiali ebrei”. Inneggiando alla guerra santa volta all’annientamento dell’entità sionista da parte dell’Islam.

Sin dalle prime ore dopo l’attacco la stessa intellighenzia globalista che si dispera guardando Schindler’s list invocava una risposta “temperata” da parte di Israele, inquadrando le azioni di Hamas come rigurgito patriottico dopo 56 anni di sopraffazione sionista nei  confronti della “causa Palestinese”, senza mai accennare all’attacco terroristico nè considerare che tutti gli accordi di normalizzazione territoriale proposti da Isralele sono stati sempre rifiutati dai palestinesi.

Le piazze d’Europa iniziavano a riempirsi di cortei “Free palestine” animati dalle più ipocrite sigle, come le transfemministe di Nonunadimeno che si battono contro tutte le violenze di genere tranne gli stupri perpetrati (e documentati) dai terroristi palestinesi alle donne di Gaza; oppure quelle dei movimenti “lgbtq per Hamas”, che non tollerano l’omo-transfobia se non quella del terrorismo fondamentalista arabo che, attenendosi alla sharia, lapida a morte in pubblica piazza i sodomiti; e molti altri movimenti della galassia woke per cui la libertà non è un problema finchè ad esserne privati sono gli altri.

La protesta non si è fermata a folcloristiche piazze, trovando terreno fertile nelle università più prestigiose al mondo come gli ormai infetti campus americani di Harvard e  Columbia University, dove si è assistito a picchetti anti-sionisti e violenza etnica, ma anche nei più prestigiosi atenei europei come l’Università statale di Madrid, il Politecnico di Amsterdam, La Sapienza di Roma.

I piazzali degli atenei sono da mesi infuocati al grido “Hamas makes us proud”, “students with Hamas”“Jews back to Poland”, arrivando anche a manifestazioni di aperta violenza e sfacciata discriminazione, tanto che secondo Eunews, 9 ebrei su 10 nell’Ue si sentono sotto attacco .

Il tutto, con il più infido appoggio degli stessi Rettori che il 27 gennaio si disperano per l’olocausto passato e nei successivi 364 giorni dell’anno ridimensionano fetidamente l’odio anti-ebraico con dichiarazioni come quella della rettrice dell’Università della Pennsylvanya Liz Magill secondo cui “invocare il genocidio degli ebrei non è di per sé una violenza”; oppure con azioni come il boicottaggio diffuso da parte delle Università italiane nei confronti di quelle israeliane.

Non solo studenti e abietti manifestanti, in Italia aizzati in piazza tra gli altri dai facinorosi agitatori autori dell’assalto alla CGIL che poco hanno a spartire con lo slogan “Free Palestine”; anche scrittori, filosofi, giornalisti, politici e organizzazioni internazionali non riescono a non leggere gli eventi con una doppia morale, sfacciatamente sfavorevole agli ebrei non solo Israeliani.

L’elite progressista è negligente nei confronti della saldatura tra antisionismo e antisemitismo sfociata in una riedizione mondiale della giudeofobia che rende attuali sentimenti che si auspicavano archiviati come “odio razziale” e “discriminazione ebraica”. 

Troppo attratti dal rifugiarsi dietro la storica “gerarchia degli oppressori” che vede i sionisti come gli eterni carnefici e giustifica ancestralmente le violenze altrui. L’intellettuale globalista non concepisce l’ebreo reattivo, armato, tecnologicamente avanzato e patriottico esattamente come il nazionalista non concepiva l’ebreo banchiere e affarista negli anni ‘30. Il tutto mentre nelle piazze, nelle città, negli aeroporti (vedasi: Daghestan 29 ottobre 2023) si respira di nuovo un clima da kristallnacht.

Al contempo, come ogni 27 gennaio, va in onda l’ipocrisia. Tuttavia, invece di flebili commemorazioni quest’anno noi europei dobbiamo gridare alla vergogna! Se davvero vogliamo sostenere degnamente Israele come legittima forza democratica, il popolo ebraico nella sua libertà di culto e la popolazione palestinese oppressa dal terrorismo, non possiamo non abbattere la doppia morale che avvelena la nostra opinione pubblica. 

E’ ora di vergognarsi delle rievocazioni sterili che mascherano la nostra complicità silente all’antisemitismo contemporaneo mascherato da antisionismo, e far sentire la nostra voce! Perchè l’Europa, teatro dell’olocausto, non può dimenticare facendo finta di compiangere.