La prova di forza contro il diritto UE
La vicenda dei migranti traghettati avanti e indietro nell’Adriatico tra Italia e Albania sta assumendo contorni che vanno ben al di là di un maldestro quanto costoso tentativo del governo Meloni di rispondere alle pressioni dei flussi migratori.
L’11 novembre ha segnato un nuovo capitolo nella vicenda: il Tribunale di Roma ha sospeso il trattenimento di sette migranti trasferiti in Albania, ordinandone il rientro in Italia e rimettendo il caso alla Corte di Giustizia Europea sollecitando le reazione stizzite di tutta la maggioranza di governo. Ma non solo. Nottetempo anche Elon Musk è intervenuto a gamba tesa sulla questione indicando chiaramente su X la sua ricetta: “these judges need to go – questi giudici se ne devono andare”, dice Elon.
Quella che era stata annunciata come una soluzione innovativa alla pressione migratoria italiana sta diventando la prova di forza con la quale si cerca di ridefinire gli equilibri tra sovranità nazionale e normative comunitarie. In gioco non c’è più solo la questione migratoria, ma anche il ruolo della giurisdizione europea e il tentativo di ridefinire gerarchie ed equilibri.
Un accordo di facciata con numeri risibili e costi elevatissimi
Siglato nel 2023, l’accordo italo-albanese permette all’Italia di trasferire fino a 3.000 migranti al mese in centri di accoglienza in Albania. Questo “avanzato” progetto di cooperazione avrebbe dovuto ridurre l’affollamento nei centri italiani, accelerare le procedure di asilo e contenere i costi della gestione migratoria. Ma i dati reali sono ben diversi: fino ad ora solo poche centinaia di migranti sono stati effettivamente trasferiti e, in molti casi, hanno finito per tornare in Italia, trasformando il Mar Adriatico in una tratta di andata e ritorno dal costo spropositato. Si parla di oltre 100 milioni di euro destinati alla realizzazione e gestione dei centri albanesi, una somma che grava sulle casse italiane senza risultati tangibili sui flussi migratori, che nel 2024 hanno già superato i 130.000 arrivi.
Propaganda e realtà: un braccio di ferro tra Italia, Magistratura ed Europa
Mentre i costi crescono e i numeri restano irrisori, l’accordo ha scatenato una vera e propria sfida tra il governo italiano, la magistratura nazionale e le istituzioni europee. Da una parte il governo italiano rivendica la legittimità della propria autonomia in materia migratoria, dall’altra la magistratura – con il Tribunale di Roma in prima linea – continua a sospendere i provvedimenti di trattenimento, richiamandosi alla tutela dei diritti umani stabilita dalla Corte di Giustizia Europea. Le istituzioni europee, attraverso una serie di sentenze, ribadiscono infatti che ogni accordo migratorio deve garantire il pieno rispetto delle normative comunitarie e degli standard sui diritti umani, e l’Albania non viene ritenuta in linea con tali requisiti per tutti i casi di migranti.
Una sfida alla gerarchia giuridica tra Unione Europea e Stati Membri?
Lo scontro legale sta assumendo sempre più i contorni di una prova di forza, dove in gioco non c’è solo la questione migratoria, ma anche il ruolo della giurisdizione europea rispetto alle politiche nazionali. È lecito chiedersi se l’Italia stia cercando di ridefinire i limiti del controllo giuridico comunitario, mettendo in discussione la supremazia delle normative europee e puntando a riaffermare la propria autonomia decisionale. La vicenda, dunque, potrebbe diventare un punto di svolta nella complessa relazione tra sovranità nazionale e obblighi comunitari, un test di resistenza per la magistratura e le istituzioni europee.
La partita migratoria: un pretesto per ridefinire gli equilibri
Di fronte a un gioco di scontri e rinvii tra Italia, Albania e Bruxelles, il futuro dell’accordo appare sempre più incerto. Il rischio è che quest’operazione si riveli non solo un ingente spreco di risorse, ma anche un’illusione di controllo destinata a dissolversi sotto il peso delle sfide giuridiche. Mentre i migranti continuano a viaggiare avanti e indietro attraverso l’Adriatico a spese dei contribuenti, l’Italia sembra ormai impiegare l’accordo come un simbolo politico più che come una soluzione. In questo costoso e complesso braccio di ferro, resta da vedere se si tratta solo di una parentesi o di un vero tentativo di ridefinire gli equilibri di potere tra Italia ed Europa, un confronto in cui la partita migratoria diventa, in fondo, un pretesto per rivendicare autonomia e affermare una visione nuova del rapporto tra Stato e Unione Europea.