Le Pen fugge dai giudici e Mélenchon dalla realtà: Francia in ostaggio
La Francia sta attraversando una delle crisi politiche più gravi della sua storia recente. Il governo guidato da Michel Barnier, già in una posizione precaria, è minacciato da una mozione di sfiducia che unisce in modo inedito due forze politiche opposte: il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen e La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon. Questa insolita sinergia riflette un panorama politico frammentato e un elettorato profondamente insoddisfatto.
Il contesto attuale vede un paese diviso. Dopo la deludente performance del partito di Emmanuel Macron alle elezioni europee, il presidente ha sciolto il Parlamento, portando a elezioni legislative anticipate che hanno gettato la Francia nel caos, o che forse hanno semplicemente fotografato la realtà della società francese, divisa e frammentata come non mai. Le Pen ha consolidato la sua posizione, ottenendo molti più seggi del passato, ma non sufficienti per governare. Dall’altro lato, Mélenchon e la sua coalizione di sinistra hanno capitalizzato sull’insoddisfazione sociale, senza però riuscire a presentare una visione unitaria e coerente.
L’articolo 49.3 della Costituzione
In questo scenario, Michel Barnier è emerso come figura di compromesso per guidare un governo di minoranza che si è rivelato estremamente fragile. La sua decisione di utilizzare il controverso articolo 49.3 della Costituzione per approvare il bilancio della sicurezza sociale senza un voto parlamentare ha scatenato l’ira di un’opposizione già agguerrita. Ora, il suo destino è appeso a un filo. “Non le conviene in teoria farlo cadere,” commenta Francesco Maselli, corrispondente de L’Opinion dall’Italia, raggiunto telefonicamente da L’Europeista, riferendosi alla strategia di Le Pen, “Barnier non poteva approvare niente senza i voti o l’astensione del RN. Ma Le Pen sceglie la sfiducia perché da un lato la sua base è molto favorevole a una scelta del genere, dall’altro c’entra il calendario giudiziario”.
La vicenda giudiziaria di Le Pen
Cosa c’entra la giustizia? La situazione giudiziaria di Marine Le Pen è un elemento chiave. La leader del Rassemblement National
è sotto processo per presunto uso improprio di fondi del Parlamento Europeo, con l’accusa di aver utilizzato tali fondi per pagare assistenti parlamentari che in realtà lavoravano per il partito. La procura ha chiesto una condanna a cinque anni di carcere e cinque anni di ineleggibilità, con esecuzione provvisoria, il che significa che, in caso di condanna, l’ineleggibilità sarebbe immediata, impedendole di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali del 2027. Le Pen ha definito queste richieste come una “pena di morte politica” e ha denunciato quella che considera una persecuzione giudiziaria. Anche in questo, Maselli individua una precisa strategia: “Le Pen vuole anticipare eventuali decisioni sulla sua eleggibilità provando a far cadere Macron e andare alle presidenziali”.
Andrea Verde, esperto di questioni francesi sentito da L’Europeista, conferma la tesi: “È evidente nelle scelte di Marine Le Pen incida il processo in cui è implicata. Noi italiani dovremmo sapere quanto le vicende giudiziarie dei leader politici possano guidare la loro agenda”. Il processo contro Le Pen ha implicazioni profonde per il panorama politico francese. Se condannata, la sua esclusione dalle elezioni potrebbe rimescolare le carte all’interno del RN, facendo emergere Jordan Bardella, attuale presidente del partito, come prossimo candidato alla presidenza. Un salto quantico per un partito storicamente centrato sulla figura del leader, e di un leader che di cognome fa Le Pen.
La piazza contro le riforme
Fuori dai palazzi del potere, la Francia è in fermento. Le riforme pensionistiche e i tagli alla spesa pubblica hanno scatenato proteste che sono diventate simbolo del malcontento generale. Le strade di Parigi e di altre grandi città francesi sono teatro di una ribellione diffusa, alimentata da un senso di alienazione che colpisce tutte le classi sociali. Persino l’accordo commerciale tra l’Unione Europea e il Mercosur è diventato occasione di protesta sociale.
La crisi politica si intreccia con una situazione economica difficile. Il bilancio per il 2025 prevede tagli per 60 miliardi di euro e aumenti fiscali che hanno incontrato una feroce opposizione. La Francia è sotto pressione per ridurre il deficit pubblico, ma ogni decisione in tal senso rischia di alienare ulteriormente un elettorato già esasperato. Nel frattempo, i mercati finanziari osservano con apprensione, temendo una crisi di fiducia che potrebbe avere ripercussioni sull’intera Unione Europea. “È la peggiore crisi politica della Quinta Repubblica francese, riporta l’orologio all’instabilità della Quarta Repubblica”, aggiunge ancora Verde.
La trappola delle estreme
In questo contesto, l’elettorato francese si trova intrappolato in un gioco pericoloso. Le alternative politiche si restringono, e il rischio è che il voto di sfiducia diventi il catalizzatore di una crisi ancora più profonda. Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, pur nei loro contrasti, rappresentano le due facce di una stessa medaglia – il populismo come risposta a un sistema che molti percepiscono come fallimentare – ma che non hanno alcuna possibilità di governare insieme.
Riuscirà la Francia a uscire da questo vicolo cieco? Al momento, l’unica certezza è l’incertezza.