Un fondo da 500 miliardi per la difesa europea, il big bang necessario
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca per un secondo mandato potrebbe rappresentare un momento cruciale per la sicurezza dell’Europa. Con la prospettiva di un supporto statunitense ridotto alla NATO e all’Ucraina, l’Europa si trova di fronte a una realtà drammatica: deve adottare urgentemente un approccio audace e collettivo alla propria difesa. Al centro di questo sforzo si colloca la proposta di istituire un’iniziativa europea per la difesa, simile al programma Next Generation EU, focalizzata sul potenziamento delle capacità militari e sulla riduzione della dipendenza dagli Stati Uniti. Per dare concretezza a questa visione, la presidente della Commissione Europea ha incaricato il commissario per la Difesa, Andrius Kubilius, di redigere una proposta dettagliata sotto forma di Libro Bianco sulla Difesa Europea nei primi tre mesi del suo mandato.
Andrius Kubilius, ex primo ministro della Lituania, ha delineato i pilastri fondamentali della sua proposta nel corso della sua prima apparizione di fronte alla sottocommissione Sicurezza e Difesa (SEDE). Tra le misure più significative, il commissario ha ribadito il suo sostegno all’emissione di obbligazioni comuni per finanziare un “big bang” della spesa militare europea. Kubilius ha spiegato che il debito potrebbe essere facilmente ripagato se gli Stati membri decidessero di condividere parte dei loro bilanci nazionali per la difesa. A titolo di esempio, ha suggerito che un incremento dell’1% del PIL per la spesa militare in ciascuno dei 27 Stati membri genererebbe circa 200 miliardi di euro all’anno, fondi essenziali per affrontare le sfide a breve e lungo termine.
Secondo le stime presentate dal commissario, l’Europa avrà bisogno di circa 500 miliardi di euro per costruire uno scudo comune di difesa aerea e altri 200 miliardi nel prossimo decennio per modernizzare le infrastrutture, al fine di garantire la rapida mobilitazione di truppe e attrezzature militari all’interno dell’UE. Tuttavia, i fondi destinati alla difesa nel bilancio pluriennale 2021-2027 ammontano solo a circa 10 miliardi di euro, evidenziando un enorme divario che l’Europa dovrà colmare rapidamente. Per rispondere a questa urgenza, Kubilius ha proposto di replicare il modello adottato durante la pandemia di COVID-19 per sostenere le economie europee, emettendo “bond per la difesa”. In questo caso, tuttavia, gli Stati membri dovrebbero anticipare parte dei fondi, riducendo così i costi di prestito e di rimborso.
Questa proposta ha già ottenuto il sostegno informale di Paesi come Francia, Italia, Polonia, repubbliche baltiche e Grecia, che riconoscono l’urgenza di rafforzare la capacità di reazione del continente e di consolidare la sua autonomia strategica.
Il nodo dell’integrazione politica
Tuttavia, il dibattito non si limita a una divisione tra Paesi favorevoli e contrari. La questione è molto più complessa, poiché riflette fragilità e timori presenti in entrambi gli schieramenti. Da un lato, i Paesi storicamente più disciplinati in termini finanziari e fiscali, come Germania, Paesi Bassi e Finlandia, temono che dietro lo strumento del debito comune si celi il tentativo da parte dei Paesi meno responsabili di allentare la propria disciplina fiscale. Dall’altro, proprio l’esperienza del Next Generation EU fa emergere più di un caveat: nonostante il successo nel garantire risorse per la transizione digitale ed ecologica, l’eccesso di frammentazione e decentralizzazione della spesa ha ridotto l’efficienza degli investimenti. Per dirla con un esempio crudo, riempire un Paese di piste ciclabili non equivale automaticamente a realizzare la transizione ecologica.
Allo stesso modo, i Paesi favorevoli devono affrontare una questione cruciale: un passo così grande come la creazione di un fondo di 500 miliardi di euro per la difesa necessita di un controllo rigoroso sulle modalità di investimento, per essere accettabile da tutti e sostenibile in termini finanziari. Quando si parla di difesa e di utilizzo di soldi pubblici, si entra nel cuore del potere democratico, e le decisioni devono essere prese da un’autorità democraticamente legittimata. Ne consegue che un salto di qualità nella dimensione della difesa comune europea implica inevitabilmente un salto di qualità nell’integrazione politica.
L’inazione non è ovviamente una opzione. Rafforzare la capacità di risposta dell’Europa significherebbe anche riequilibrare i rapporti di forza con la Russia, evitando scenari già visti nella storia, come l’accordo di Monaco del 1938, che con la sua politica di appeasement non fece altro che alimentare le ambizioni di Hitler. Non affrontare con decisione l’aggressività russa oggi potrebbe portare a conseguenze altrettanto destabilizzanti, come una nuova corsa agli armamenti, l’indebolimento definitivo della sovranità ucraina e l’apertura di nuovi fronti, come quello baltico.
Il vero Next Generation EU
In conclusione, la creazione di un fondo di difesa europeo, quindi, non è solo una questione di risorse o strategia militare. È una scelta di identità, una presa di coscienza della propria responsabilità verso il futuro. Sarebbe il vero Next Generation EU, il piano che offre all’Unione non solo la possibilità di guardare avanti con speranza, ma di farlo come una forza capace di garantire stabilità e sicurezza per le prossime generazioni. In un mondo dove libertà e democrazia non sono più certezze, ma conquiste da proteggere ogni giorno, l’Europa ha un’opportunità storica per dimostrare che il suo progetto non è solo economico, ma profondamente umano e politico.