Romania vs TikTok: democrazia che muore o democrazia che si difende?
I fatti
Il 24 novembre i rumeni hanno votato per il primo turno delle elezioni presidenziali.
Accanto ai candidati dell’establishment (socialdemocratici e nazional-liberali), accusati non senza tutti i torti di tenere in vita un sistema corrotto, correvano George Simion, leader di un partito di destra euroscettico, e due populisti di segno opposto: Elena Lasconi e Călin Georgescu.
La prima, con la sua Unione per la Salvezza dei Rumeni, si ispira ai valori europei per rendere il paese più moderno e trasparente.
Il secondo, privo di un partito, era fino a quel momento solo un personaggio mediatico, attivo soprattutto su TikTok, che diffondeva messaggi contro l’Europa, contro la NATO, contro l’Ucraina, contro i vaccini, contro il presunto “complotto globalista” ai danni della società tradizionale cristiana e contro l’immancabile finanza ebraica, spingendosi fino a glorificare Ion Antonescu, il dittatore rumeno che fu un controverso alleato di Hitler.
Contro ogni pronostico, sono stati proprio i due populisti a qualificarsi per il secondo turno: la Lasconi con circa 1.800.000 voti (19%) e Georgescu con circa 2.100.000 (23%).
Quest’ultimo dato è stato un fulmine a ciel sereno, soprattutto perché Georgescu aveva usato sostanzialmente solo TikTok per conquistarsi i suoi voti. Non aveva lanciato nessuna campagna elettorale visibile, né stradale né televisiva. Le spese elettorali che aveva dichiarato erano state pari a zero.
Una settimana più tardi, il 1° dicembre, si sono tenute le elezioni parlamentari. Qui Georgescu, non avendo un partito, non correva, e sono state forze euroscettiche minori come quella di Simion a fare bottino, raggiungendo tutte insieme circa il 30%. Il 70% dei rumeni, però, è bene ricordarlo, ha espresso un supporto inequivocabile a partiti vicini all’Europa e all’Ucraina.
L’8 dicembre avrebbe dovuto tenersi lo showdown finale tra Lasconi e Georgescu. Ma due giorni prima è arrivata una sentenza della Corte Costituzionale che non ha precedenti nella storia: il primo turno dovrà essere ripetuto perché non è stato disputato ad armi pari.
Poche ore dopo, un’ondata di perquisizioni e arresti ha travolto Bogdan Peshir, il miliardario che sarebbe stato il finanziatore occulto di Georgescu, Horaţiu Potra, il capo di una compagnia mercenaria che curava la sua sicurezza privata, e alcuni membri di gruppi neonazisti che lo sostenevano.
Georgescu ha subito gridato al “golpe dell’UE e della NATO”, mentre la sua sfidante Lasconi ha tuonato contro la violazione della volontà popolare.
Per completezza, va detto che i sondaggi si dividevano tra quelli che davano Georgescu largamente favorito e quelli che davano Lasconi vincente in patria anche se perdente tra i rumeni della diaspora.
Ma quali sono state le motivazioni di questa sentenza shock?
La sentenza
I nove giudici, all’unanimità, avevano rilevato tre vizi nel primo turno delle elezioni, sulla scia di un rapporto dei servizi segreti che da qualche giorno è consultabile in pubblico.
Il vizio di cui tutti i giornali esteri hanno parlato, ovvero la probabile regia della Russia dietro l’operazione Georgescu, è in realtà l’ultimo e il meno rilevante.
I problemi oggettivi sono stati altri due. Primo: i finanziamenti a Georgescu non sono stati trasparenti. Secondo: TikTok e altre piattaforme hanno costitutivamente avvantaggiato Georgescu rispetto agli altri candidati.
Quel che è accaduto, negli ultimi giorni prima del 25 novembre, è stato il risveglio di una rete organizzata attraverso Telegram e di almeno 35.000 profili falsi su TikTok che, con l’aiuto di oltre un milione di euro spesi da Peshir su quest’ultimo social, hanno prodotto 52 milioni di visualizzazioni di video di Georgescu in soli quattro giorni.
Questa offensiva mediatica è bastata a deviare centinaia di migliaia di voti da Simion e dall’astensione verso Georgescu, proiettandolo al ballottaggio.
Ora, la domanda sorge spontanea: non potrebbe trattarsi di semplice abilità nell’uso di un mezzo di comunicazione?
Come mai i giudici rumeni sono così sicuri che TikTok si sia comportata con Georgescu come i media mainstream si comportano nelle dittature, offrendogli un canale preferenziale e drogando la competizione elettorale?
Come funziona TikTok
È noto da anni che TikTok, società che ha come azionista di maggioranza lo stato cinese, ha un algoritmo che promuove intenzionalmente i contenuti in linea con l’agenda del regime di Pechino. Tutto ciò che può gettare discredito sull’Unione Europea o sulle democrazie cosiddette “occidentali” viene quindi premiato nelle visualizzazioni, e viceversa.
Qualunque utente di TikTok, ad esempio, a prescindere da come la pensa, può confermare che pressoché impossibile trovarvi contenuti pro-Ucraina o pro-Israele, in quanto vengono sottoposti allo shadowban: non cancellati, ma semplicemente frenati nella loro circolazione.
Teniamo a mente che ormai TikTok non è più il social “dei ragazzini” e “dei balletti di dieci secondi”, ma una vera e propria televisione portatile, che propone soprattutto video di media lunghezza.
Di fatto, perciò, milioni di europei e di americani di ogni età hanno in tasca una tv controllata da un regime ostile, senza alcun filtro né par condicio. È questo, tra l’altro, il motivo per cui la giustizia statunitense, negli ultimi mesi, l’ha ritenuta una minaccia alla sicurezza nazionale e ha intimato definitivamente a ByteDance (la branca americana di TikTok) di trovarsi un proprietario americano o di chiudere bottega.
In Romania, però, il problema non è stato solo questa “mano invisibile” interna all’algoritmo di TikTok, ma una serie di scorrettezze compiute alla luce del giorno.
Georgescu, ad esempio, non è stato etichettato come candidato politico (cosa che in effetti, fino pochi giorni prima, non era) e non ha dovuto subire le restrizioni alla viralità dei video che i profili dei candidati politici subiscono normalmente. Insomma, c’è stato almeno un (potentissimo) mezzo di comunicazione dove la competizione non è stata ad armi pari.
Too big to fail
Chi parla di “golpe”, ovviamente, esagera: se queste elezioni, una volta ripetute, portassero allo stesso risultato, non verrebbero “annullate all’infinito finché non vince quello giusto” (cit.).
Ma anche molti commentatori liberali, Lasconi in testa, hanno accusato le istituzioni rumene di eccesso di legittima difesa.
In effetti, nella lunga storia delle interferenze dei social sui processi elettorali, non si era mai visto un intervento così drastico. In qualunque paese democratico, finora, di fronte a casi del genere le autorità indipendenti e i politici moderati avevano fatto a gara nell’ostentare una sorta di sportività o di signorilità: “La gente ha espresso un sentimento che va recepito”, “I voti vanno comunque rispettati”, “I social non sono il problema ma solo l’espressione del problema” e via dicendo.
In pratica, ammettevano che il consenso elettorale giustifica retrospettivamente qualsiasi abuso commesso per conquistarlo. Come se esistesse una mistica “voce del popolo” che aspetta solo di essere rivelata e, una volta rivelata, fa apparire illegittimi tutti quei contrappesi che avrebbero potuto silenziarla. Una logica, insomma, secondo la quale Matteotti e i giornalisti del Watergate sarebbero stati dei nemici della democrazia.
Anche la politica europea moderata, dunque, stava sposando l’ideale giacobino della democrazia totalitaria, dove chi “incarna le esigenze del popolo” (e peraltro neanche della maggioranza di esso!) ha diritto di imporsi sempre e a qualunque costo. Lo stesso ideale, per inciso, che ha permesso agli Erdogan, ai Putin, agli Orbán, ai Lukashenko e agli Ivanishvili di non cedere più il potere dopo averlo conquistato la prima volta.
Che cosa è stato diverso, stavolta?
Anzitutto la velocità: l’ascesa di Georgescu è avvenuta in appena due settimane, con un’impennata negli ultimi quattro giorni, e nessuno aveva piani su come reagire.
C’è poi il contesto militare: la Romania copre le spalle all’Ucraina, e un suo disimpegno sarebbe stato fatale per quest’ultima.
Inoltre le violazioni delle leggi sulla trasparenza e sulle pari opportunità tra i candidati sono lampanti e dimostrabili.
Infine, come il voto per il parlamento ha chiarito, la maggiore popolarità di Georgescu rispetto a Lasconi (definita dai bot russi “Una maestra d’asilo isterica con la figlia lesbica”) non implica alcun desiderio di lasciare l’UE o la Nato da parte dei rumeni.
Sono state probabilmente queste ragioni a convincere la Corte ad abbandonare ogni finta sportività e ad entrare a gamba tesa in area di rigore.
Se vogliamo cercare un precedente italiano, è accaduto qualcosa di simile a quando Mattarella rifiutò di nominare Savona ministro dell’economia nel primo governo Conte: il presidente poté forzare la mano perché sapeva che il voto per Lega e Cinquestelle non equivaleva a un mandato per uscire dall’euro. Anche in quel caso, come ricorderete, si gridò al golpe e alla morte della democrazia. Anche in quel caso, come ricorderete, le piazze rimasero vuote, l’impeachment ci fu solo nei sogni di Di Maio e la democrazia italiana proseguì per la sua strada.
E adesso?
In Romania può finire in mille modi: anche, ripeto, con l’effettiva vittoria di Georgescu, che troverebbe però ad aspettarlo una coalizione parlamentare già formata con un programma di governo già pronto e opposto al suo.
I fatti di Bucarest, però, sono davvero un “precedente pericoloso” riguardo i rapporti con TikTok: che cosa faranno gli altri stati europei, tanto più sapendo che anche gli Stati Uniti hanno scelto le maniere forti?
E come valutare se altri social media sono altrettanto distorsivi durante le campagne elettorali?
Quanto è legittimo, ad esempio, affondare TikTok mentre si tiene a galla X (il vecchio Twitter) che privilegia i contenuti trumpiani? In questo caso, la proprietà straniera rischia di essere davvero l’unico discrimine.
Guardando ai prossimi anni, poi, nasceranno inevitabilmente dei chatbot a intelligenza artificiale, schierati politicamente, con i quali le persone potranno conversare, facendosi spiegare la realtà solo dal loro punto di vista e finendo per radicalizzarsi sempre più. (Quello di Mussolini, anche se satirico, esiste già).
Come è anche solo pensabile mantenere “pari opportunità” e “competizione leale” in un caos del genere?