Welfare europeo. Se non oggi quando?
Alcuni anni fa si riunì in Europa un direttorio. C’era stata la crisi greca, e i quattro paesi maggiori – l’Italia, considerata un Pigs (paese a rischio finanziario), Francia, Germania e Regno Unito – si riunirono per parlare di Welfare. I britannici erano ancora nella UE, il tempo vola, ma i problemi restano. Non se ne fece niente perché la ragioneria tedesca, ancora locomotiva, era egoista; nel Regno Unito potevano essere contenti di gestire (è ormai il loro unico mestiere) assicurazioni previdenziali e contributi pensionistici; i francesi, che hanno un discreto welfare, avevano paura di perderlo.
Ma il problema era urgente già allora. La fine del mondo industriale, l’era dell’acciaio, la robotizzazione, le transizioni ecologiche e digitali erano evidenti. Oggi abbiamo addirittura l’IA, ma Stanley Kubrick ce lo diceva fin da 2001: Odissea nello spazio, datato 1968.
Sia l’iconico regista che George Orwell avevano ragione, ma noi europei continuiamo a fare gli struzzi, senza visione e quindi senza capacità di affrontare le sfide di un mondo globale, convinti che il nostro benessere possa continuare indefinitamente.
La necessità di un Welfare europeo
Ci voleva Vladimir Vladimirovic Putin a risvegliarci dal torpore, ed oggi non soffre solo l’ucraino senza riscaldamento, ma anche l’operaio della Volkswagen in cassa integrazione. L’operaio tedesco, che costruiva con teutonico fervore la macchina del popolo, guadagnava 56.000 euro l’anno. Oggi si deve accontentare di un assegno che corrisponde al 60% di quella somma. Dovrà scegliere se pagarsi il riscaldamento, aumentato anche in Germania, o bersi le pinte di birra con gli amici. Se sceglie le seconde, magari incattivito e depresso per la recessione, difficilmente poi parlerà bene del suo governo, come aveva fatto fino ad allora. E se le birrerie si organizzano, la deriva è assicurata.
Il problema automotive è il segnale lampante della miopia europea. Ursula e soci potevano lanciare il Green Deal, ma solo se tra le altre cose (tipo promuovere una filiera davvero europea) avessero attrezzato un fondo europeo sul Welfare per affrontare i tempi della transizione, che non hanno nemmeno calcolato. Se avessero spinto un piano sull’idrogeno, che è ancora agli albori, e soprattutto se avessero capito su cosa riqualificare masse di operai specializzati e, fino ad allora ben pagati – i tedeschi, non gli italiani.
Oggi c’è bisogno, per traguardare la transizione industriale in un mondo ipercompetitivo globale, di sussidi straordinari europei, almeno per le aziende di grande e media dimensione. Come ci vorrebbe un salario minimo, per non farci la guerra sul salario tra noi europei, ed una pensione europea minima, gestita da un INPS continentale.
Se un cittadino europeo riceve a casa un assegno previdenziale, di pensione o di disoccupazione, capisce a cosa serve quest’Europa: a tutelarlo. Dare solo regole e non fornire prestazioni rende l’integrazione europea inutile per i cittadini, che finisco inesorabilmente per alimentare il fuoco del populismo.