La storia di Danylo Yefimov, 19enne ucraino detenuto e torturato in un carcere russo

Agnieszka Zabkowicz
11/01/2025
Frontiere

Il caso di Danylo Yefimov, un diciannovenne originario della città mineraria di Snizhne, nella regione di Donetsk, e oggi recluso in una colonia penale di massima sicurezza russa, è emblematico delle violazioni dei diritti umani perpetuate dalla Russia contro cittadini ucraini, ma è soprattutto la storia di un giovane europeo che merita di essere conosciuta e diffusa. Chiunque parla di “dialogo” con Mosca, spesso strumentalmente, abbia anzitutto a mente storie come quella che stiamo per raccontarvi.

Il crimine di Danylo? Una serie di donazioni, per un totale di 5.200 grivnie (circa €130) al fondo di Serhiy Prytula (con cui si sostiene sia l’esercito che la società ucraina) è stata sufficiente per condannare il giovane a 12 anni di reclusione, seguiti da un ulteriore anno di libertà limitata.

Un’infanzia interrotta dalla guerra

Danylo e la sua famiglia vivevano a Snizhne, città mineraria occupata dai russi dal 2014. Dopo lo scoppio delle ostilità, si erano trasferiti brevemente fuori dalla regione di Donetsk, ma erano tornati quando la situazione era parsa apparentemente più tranquilla. Cresciuto con la passione per la lotta greco-romana, Danylo aveva dovuto abbandonare lo sport a causa di un infortunio e della guerra, dedicandosi invece al disegno, alla poesia e all’intaglio del legno. Nonostante le pressioni familiari per acquisire la cittadinanza russa, il giovane aveva mantenuto le sue convinzioni filo-ucraine.

Dopo l’invasione russa su vasta scala del 2022, Danylo aveva iniziato a usare l’ucraino per comunicare con amici e parenti, una sorta di resistenza culturale all’occupazione. Si era diplomato a distanza in un’area controllata dal governo ucraino e sognava di iscriversi all’Università Taras Shevchenko di Kyiv nel 2024, ma su spinta del padre aveva intanto accettato di frequentare temporaneamente l’Università Federale del Sud a Rostov, in territorio russo.

L’arresto

Nel dicembre 2023, Danylo, accompagnato dal padre e dalla fidanzata, aveva pianificato di volare a Istanbul per visitare il fratello Kyrylo in Turchia. Durante il viaggio, aveva deciso di usare il suo passaporto ucraino per principio, rifiutandosi di presentare quello russo. Il gesto è stato sufficiente a far scattare la sua detenzione all’aeroporto di Volgograd.

“Non appena ho mostrato i miei documenti, mi hanno preso per un interrogatorio. Mi hanno strappato il telefono dalle mani e mi sono reso conto di chi siano queste persone e cosa siano capaci di fare,” scrive Danylo in una lettera dal carcere. Quel giorno in aeroporto, le forze di sicurezza trovano tracce delle donazioni nel telefono e iniziano a interrogarlo. Il giovane inizialmente cerca di non rispondere, ma alla fine confessa sotto minaccia.

Nel frattempo, il padre e la fidanzata rimangono a Volgograd, cercando un avvocato che si rivela assolutamente inaffidabile. La fidanzata stessa è costretta a sottoporsi a un ulteriore interrogatorio, durante il quale le autorità russe tentano di estorcere una testimonianza.

Detenzione e torture

Danylo viene allora trasferito nel centro di detenzione preventiva di Volgograd, dove è costretto a dormire sul pavimento per mancanza di spazio. Sono in 16 in una sola stanza, troppi per i letti a disposizione: alcuni possono dormire di notte, altri a turno di giorno. Successivamente viene spostato in isolamento completo, in un seminterrato privo di luce naturale, con muri coperti di muffa e frequenti allagamenti causati dalle tubature rotte.

I racconti di Danylo evidenziano un trattamento brutale: un compagno di cella viene picchiato severamente per aver cantato canzoni ucraine, e a Danylo viene imposto di gridare “Gloria alla Russia” davanti a un ritratto di Vladimir Putin. Ogni giorno viene strangolato con una borsa di plastica, picchiato e costretto a imparare l’inno nazionale russo.

Durante la fantomatica “indagine” iniziale, di fronte al rifiuto di firmare una confessione, viene minacciato da un uomo che si presenta come membro del gruppo Wagner. “Il dialogo iniziò con colpi, insulti e minacce di portarmi nel bosco, dove avrei firmato tutto quello che volevano,” scrive il giovane.

Il processo farsa e le migliaia di situazioni simili

Nel luglio 2024, il tribunale della regione di Rostov condanna Danylo per alto tradimento. Durante il processo, un compagno di dormitorio e una curatrice universitaria lo accusano di diffondere sentimenti anti-russi e di criticare Putin. La sentenza cita presunte dichiarazioni di Danylo, secondo cui sarebbe stato influenzato dalla lettura di propaganda ucraina sui crimini russi e da testimonianze di parenti in territori sotto controllo ucraino.

Secondo Yelyzaveta Sokurenko del Centro per i Diritti Umani ZMINA, il caso di Danylo è solo uno dei tanti in cui la Russia fabbrica accuse di tradimento per colpire cittadini ucraini. Dal 2022, i casi di presunta collaborazione con le Forze Armate Ucraine, spionaggio e terrorismo sono aumentati rapidamente, superando i 5.000 entro la fine del 2024. Le accuse spesso si basano su confessioni estorte con torture, minacce e fortissime pressioni psicologiche.

Dal 2022, solo 168 civili ucraini detenuti illegalmente sono stati restituiti attraverso scambi di prigionieri. Tuttavia, secondo Oleg Slobodyanyk, ci sarebbero oltre 14.000 civili in prigionia russa, di cui solo 1.300 sono stati ufficialmente identificati.

Non ci può essere pace, senza il ritorno a casa dei tanti Danylo

Nelle sue lettere, Danylo esprime resilienza e speranza, nonostante le sofferenze. “Questa situazione mi ha cambiato molto. La cosa più importante è rimanere umani. Sì, all’inizio ho lasciato tutto nelle mani dell’avvocato, ma se fossi stato più coraggioso fin dall’inizio, sarei qui a scrivere queste parole? Non lo so,” riflette.

Non ci può essere nessuna pace, se non sarà giusta e non avrà anzitutto il ritorno a casa e alla libertà dei tanti Danylo improgionati dal regime mostruoso di Putin.