Come la Polonia sta diventando il motore d’Europa
Il nuovo corso di Varsavia lontano da Mosca e vicino a Bruxelles
La Polonia non è solo uno Stato; è un ponte tra Oriente e Occidente bagnato dal Mar Baltico, terra di confine strategica nei secoli martoriata e depredata, ma mai piegata. Adam Mickiewicz la definì “Cristo delle nazioni“, e in questi anni stiamo assistendo alla sua resurrezione.
Un passato di dominazioni e resilienza
La storia della Polonia è intrisa di lotta e perseveranza. Dopo il declino della Confederazione Polacco-Lituana nel XVII secolo, la nazione non costituì mai un’entità indipendente dalle potenze straniere fino al 1989, con la sporadica eccezione della Seconda Repubblica di Polonia attiva tra il 1918 e il 1939. Russi, Prussiani, Francesi, Austriaci: tutti periodicamente dominatori stranieri in terra sarmatica. Nonostante ciò, il popolo polacco ha mantenuto una spiccata identità nazionale, radicata nell’incrollabile fede cattolica e nei richiami patriottici decantati da autori come Chopin, il già citato Mickiewicz e Zygmunt Krasiński.
L’indipendenza dall’URSS e l’avvicinamento con l’occidente
Il pontificato del cracoviano Karol Wojtyła e il crescente aiuto finanziario di Vaticano e CIA a movimenti autonomisti come Solidarność, ha portato il popolo polacco ad essere il primo a emanciparsi dalla dominazione sovietica negli anni ’80. Nel 1990 si sono tenute le prime elezioni presidenziali libere, vinte dal leader sindacale Lech Wałęsa. Successivamente all’emancipazione politica, la Polonia si è progressivamente allineata alle posizioni occidentaliste, facendo il suo ingresso nella NATO nel 1999 e nell’Unione Europea nel 2004. Il processo di integrazione verso il sistema finanziario liberale e i valori occidentali non è stato tuttavia semplice: la transizione economica verso il capitalismo è stata dolorosa e i polacchi non si sono inizialmente riconosciuti negli ideali europei. Questo ha portato forte instabilità politica, fino ad arrivare negli anni 2000 al consolidamento al potere del partito euroscettico di estrema-destra PiS, guidato dai gemelli Kaczyński. Con il PiS al governo la Polonia è stata per lungo tempo considerata la “pecora nera” d’Europa, perennemente in procedura d’infrazione riguardo diritti civili e giustizia e poco propensa al dialogo con le altre potenze; tanto che tra il 2018 e il 2021 non era fantapolitica pensare ad un eventuale addio del paese baltico all’Unione.
Il cambio di rotta: La guerra in Ucraina
La guerra in Ucraina ha rappresentato un punto di svolta per la Polonia. Forte della sua posizione geografica e della storica avversione verso Mosca, Varsavia è stata pioniera nell’atterzzarsi in vista dell’imminente minaccia russa. Già nel dicembre 2021 l’allora premier Morawiecki sosteneva profetico: “Putin nel 2022 entrerà in Ucraina“, o ancora: “Dobbiamo prepararci a rivedere le strategie di approvvigionamento europee sul Gas, Nord Stream 2 va chiuso“. Quando l’invasione è effettivamente iniziata nel 2022, la Polonia ha risposto rapidamente, fornendo supporto militare e accogliendo milioni di rifugiati ucraini. Questa prontezza ha trasformato la “pecora nera” in alleato affidabile all’interno dell’UE, consolidando l’interlocuzione privilegiata con gli Stati Uniti con un ruolo guida nel processo decisionale europeo. Dal 2022 Varsavia influenza in maniera crescente l’agenda comunitaria, protagonista di una stagione di cooperazione inedita aiutata dal ritorno al potere nel dicembre 2023 di Donald Tusk, ex presidente del Consiglio Europeo e già premier polacco dal 2007 al 2014, leader della forza europeista Piattaforma Civica.
La politica di potenza e la nuova leadership geopolitica
La Polonia non si è limitata alla diplomazia umanitaria, intraprendendo un poderoso potenziamento logistico delle proprie forze armate, con l’approvazione di un piano ambizioso che farebbe del suo esercito il più numeroso d’Europa nel 2035, con 300.000 effettivi e il 5% del PIL allocato in spese militari (Fonte: Ministero della Difesa polacco). Il protagonismo polacco non è figlio delle circostanze e di un novello europeismo, ma ha radici più profonde che arrivano fino alla Międzymorze, la politica di potenza ideata dal padre della patria Józef Piłsudski nel 1917, volta a rendere la Polonia talmente forte da risultare inattaccabile tanto da Est quanto da Ovest. Piłsudski è storicamente stata la guida ideologica del leader del PiS Kaczyński, ma non per questo il governo guidato da Donald Tusk ha dimenticato i suoi insegnamenti, in piena linea con l’attuale politica estera. La geopolitica polacca, indipendente dal susseguirsi di leadership politiche, persegue la volontà di potenza con l’audacia derivante dalla storica precarietà geografica. Questo elemento fa della Polonia un attore centrale nel contesto continentale.
La sfida del semestre europeo e il futuro
Il primo gennaio 2025 si è inaugurato il semestre europeo a guida polacca, un frangente chiave per il futuro politico continentale e globale. La Polonia, con la crisi delle cancellerie di Parigi e Berlino, si trova nella posizione di poter dettare l’agenda dell’Unione; con un occhio agli Stati Uniti di Donald Trump, da sempre vicini a Varsavia in ottica anti-tedesca, e uno al Donbass e agli ormai prossimi tavoli di pace attenzionati particolarmente da Tusk. Che il 2025 sarà l’anno del definitivo spostamento ad est dell’asse politico europeo è presto a dirlo; una cosa è certa: un gigante sta nascendo tra le steppe sarmatiche, e non sembra intenzionato a fermarsi.