Da oggi mancano 1461 giorni alla fine della presidenza Trump
Con l’avvio del nuovo mandato presidenziale, mancano esattamente 1461 giorni alla fine della presidenza di Donald Trump. Tre anni fa 365 giorni e un anno bisestile da 366. Vediamola così: nel momento stesso in cui inizia, la seconda era Trump inizierà anche la sua parabola verso il tramonto.
L’esperienza di governare come leader eletto
L’esperienza suggerisce che governare come leader eletto sia ormai un compito ingrato nel contesto politico e mediatico attuale. Le sfide globali – economiche, geopolitiche, climatiche – si combinano con una crescente polarizzazione interna per trasformare il ruolo di capo di Stato e di governo in una posizione politicamente vulnerabile, esposta a sentimenti e cambi d’umore. Non è un caso che leader di altre democrazie come Regno Unito, Canada, Francia e Germania stiano affrontando un periodo di crescente impopolarità, segnato da proteste, difficoltà economiche e divisioni politiche. Joe Biden, predecessore e avversario di Trump, ha visto il suo consenso erodersi con una rapidità incredibile.
La prima presidenza Trump
E questa dinamica è già valsa anche per Donald Trump. La sua prima presidenza si è conclusa con una sconfitta elettorale nel 2020, segno che gli elettori americani si sono già stancati di lui una volta. Durante il suo primo mandato, Trump ha faticato a mantenere molte delle sue promesse chiave, dal muro al confine con il Messico, solo marginalmente costruito ma lontano dall’essere completato, alla riforma sanitaria che non ha mai preso forma, alla gestione disastrosa dell’emergenza Covid.
Le sfide del secondo mandato
Ora, tornato alla Casa Bianca, Trump si trova nuovamente di fronte alla sfida di trasformare i semplici slogan di una lunghissima campagna elettorale in politiche efficaci, uno sforzo che aveva già mostrato i suoi limiti durante il primo mandato. Come spesso accade con i populisti, le promesse fatte durante i comizi – ridurre le tasse, “prosciugare la palude” di Washington, proteggere i lavoratori americani, espellere milioni di clandestini – si erano scontrate con la complessità della macchina governativa, le dinamiche globali, la complessità della politica parlamentare.
Le frizioni interne al Congresso
Quest’ultima ha già iniziato a farsi percepire. Nell’Antica Roma si usava dire “Senatores boni viri, Senatus mala bestia”: presi singolarmente, oggi i rappresentanti e i senatori repubblicani plaudono a Trump come unico e inevitabile leader del loro partito, ma le frizioni tra il tycoon con la maggioranza repubblicana al Congresso sono emerse già prima che iniziasse il nuovo mandato. Trump ha cercato di influenzare direttamente la scelta dello speaker della Camera, ma in un voto segreto i senatori repubblicani hanno respinto la sua indicazione, scegliendo un candidato alternativo. Il piano di Trump per tagli fiscali mirati ai più ricchi e per misure anti-immigrazione radicali ha incontrato opposizione dai deputati repubblicani più moderati. Inoltre, la sua proposta di legge sulla spesa, sostenuta anche da Elon Musk, è stata bocciata da 38 deputati repubblicani, avvicinando gli Stati Uniti al rischio di uno shutdown governativo. Un ulteriore terreno di scontro è stato l’ordine di Trump di bloccare gli aiuti all’Ucraina come leva per ottenere concessioni sui temi dell’immigrazione. Questa strategia ha creato dissidi all’interno del partito, con alcuni repubblicani che preferiscono un approccio più tradizionale e bipartisan alla politica estera.
Populismo e difficoltà nel governo
La forza di Trump come candidato è sempre stata la sua capacità di parlare direttamente ai sentimenti della sua base elettorale. Slogan come Make America Great Again e America First hanno galvanizzato milioni di elettori, offrendo risposte semplici e rassicuranti in un mondo percepito come sempre più complesso e ostile. Tuttavia, governare richiede compromessi, negoziati e una visione strategica a lungo termine – tutte qualità che mal si sposano con il populismo.
Il panorama internazionale: un mondo in cambiamento
Trump si trova ora in una posizione ancora più complicata del passato. Il panorama internazionale è mutato, con una Cina sempre più assertiva, un’Europa che cerca di emanciparsi dall’influenza americana, e nuove crisi che richiedono una leadership globale. Ci sono due guerre in corso, in cui l’America è inevitabilmente coinvolta, e altre che richiederanno una presenza o un impegno della principale potenza al mondo. La polarizzazione interna degli Stati Uniti non è diminuita, e anzi rischia di peggiorare sotto un secondo mandato Trump, così come aumentano anche in America i divari tra ricchi sempre più ricchi e classi lavoratrici sempre meno capaci e attrezzate per affrontare il cambiamento tecnologico impetuoso.
L’eredità di Trump
La vera domanda, per un presidente non rieleggibile (assisteremo anche a mirabolanti tentativi di cambiare le regole, ma l’America non è la Russia), è quale sarà l’eredità della sua presidenza. Esisterà un trumpismo dopo Trump? Come si comporterà JD Vance in questi anni, essendo il giovane vicepresidente chiaramente un potenziale candidato alla successione? Il rapporto idilliaco tra Trump e Musk resisterà, o i malumori di tanti esponenti del movimento MAGA per Elon contribuiranno ad incrinare l’asse tra due personalità già di per sé complesse?
Una lezione per l’Europa
Non ci sono certezze, tranne una. Ogni giorno che passa avvicina inevitabilmente il momento in cui Trump non sarà più presidente. Per noi europei, questo dovrebbe essere il monito principale: non possiamo e non dobbiamo dipendere dalle variabili e dalle incertezze d’Oltreoceano, dagli umori degli elettori americani, dalle agende politiche di Trump, Vance, Musk, Rubio o dei democratici che proveranno a ricostruire la loro iniziativa. Rifiutiamo un racconto quasi millenaristico che vuol vedere il trumpismo quasi come una forza immanente a cui arrenderci e a cui consegnare l’opportunità di smantellare l’Unione Europea.
Trump non è un bluff, dice quello che vuole fare, alza il prezzo e cerca il punto di caduta più vantaggioso possibile; sua logica transazionale è nota ed efficace, ma va sempre considerata per quella che è, un negoziato perenne. E dunque, dobbiamo imparare a negoziare costantemente, ma alzando anche noi europei il prezzo di tutto e ponendoci in condizioni di forza (ad esempio, investendo in piena autonomia sulla nostra difesa).
Da oggi inizia la fine della presidenza Trump.