Surreale: il mondo corre, ma a febbraio entrano in vigore i divieti dell’AI Act europeo
Mentre il mondo accelera verso un futuro plasmato dall’intelligenza artificiale, l’Unione Europea sembra impegnata a mettere freni e vincoli che rischiano di trasformarsi in una gabbia più che in una guida. Il 2 febbraio 2025, con l’entrata in vigore dei divieti stabiliti dall’AI Act, si segnerà un punto di svolta che potrebbe avere conseguenze profonde non solo per l’innovazione europea, ma per la sua posizione nel panorama globale.
L’AI Act, con i suoi 144 articoli, introduce regolamenti stringenti per pratiche come il riconoscimento biometrico in tempo reale, la manipolazione umana tramite IA e il punteggio sociale. È innegabile l’intento nobile di proteggere i diritti fondamentali dei cittadini. Tuttavia, c’è qualcosa di paradossale – persino surreale – nell’imporre rigidi paletti a un settore dove l’Europa è già in ritardo, osservando da lontano la competizione tra Stati Uniti e Cina. Mentre i colossi tecnologici globali avanzano senza freni, l’Europa rischia di scivolare sempre più in una posizione marginale.
Il caso DeepSeek: un segnale di allarme
Un esempio emblematico del divario crescente è rappresentato da DeepSeek, startup cinese che ha sconvolto il panorama tecnologico internazionale con il suo modello di IA, R1. Con capacità di ragionamento e analisi dati che rivaleggiano – o persino superano – quelle dei giganti americani come OpenAI, DeepSeek ha ottenuto risultati sorprendenti con risorse estremamente limitate. Non solo: la rapidità con cui ha scalato le classifiche degli app store, superando anche ChatGPT, ha acceso i riflettori sull’efficienza e l’agilità della Cina nel settore.
Questo successo mette in discussione non solo la leadership tecnologica americana, ma anche le scelte strategiche dell’Unione Europea. Di fronte a modelli come R1, che nascono e prosperano in ecosistemi meno regolamentati ma altamente dinamici, l’Europa appare bloccata da una rete di normative che, anziché incentivare l’innovazione, sembrano soffocarla. Beninteso, non è solo l’AI Act il problema, e probabilmente non è nemmeno il principale, ma il nuovo regolamento rappresenta la punta dell’iceberg di un problema molto profondo: le nuove regole si intrecciano ad esempio con quelle del GDPR, su privacy e trattamento dati, disincentivando qualsiasi realtà impegnata sulla frontiera dell’innovazione tecnologica a intraprendere il proprio cammino in questo Continente. L’impatto dell’AI Act va al di là delle sue stesse regole: è il segnale di quale rischio elevato pagherebbe chi volesse scegliere l’Europa per la sua impresa nel campo dell’IA.
Protezione o autogol?
Il paradosso più grande dell’AI Act è dunque che, nel tentativo di proteggere i cittadini europei dagli abusi tecnologici, rischia di compromettere le stesse opportunità di crescita economica e innovazione. Senza una leadership visionaria, capace di bilanciare etica e progresso, il rischio è che l’Europa si ritrovi a guardare da lontano una rivoluzione che avrebbe potuto guidare.
Sospendere l’AI Act
La domanda ora è una sola: a Bruxelles e nelle capitali nazionali, c’è una classe dirigente pronta a riconoscere il baratro che si sta avvicinando? Il tempo stringe. Se non si vuole che l’Europa resti bloccata dietro la porta chiusa della regolamentazione, è necessario un ripensamento immediato. Occorre sospendere l’AI Act e rimandare a data da destinarsi la riflessione, pur necessaria, sulla cornice normativa riguardante l’intelligenza artificiale. Sospendere l’AI Act non significa abbandonare i principi etici, ma ripensarli in un’ottica che consenta di competere e innovare. Il mondo corre; non possiamo permetterci di restare indietro.