Tagli, errori e bugie: i conti di Musk e del DOGE non tornano
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È recente la notizia dell’ordine esecutivo firmato da Donald Trump per rafforzare i poteri del DOGE, il dipartimento governativo volto a valutare la spesa pubblica in termini di “efficienza” (vagamente definita per la verità) e che da pochi giorni ha ricevuto il potere di poter approvare o meno tutte le assunzioni del governo federale, oltre alla regola dettata da logiche quantomeno oscure di poter assumere una persona solo a fronte di quattro licenziamenti o pensionamenti, tra cui probabilmente includeremo anche coloro che hanno volontariamente aderito ad un programma per “licenziarsi” dal proprio impiego in un’agenzia federale, che ha registrato circa 75000 adesioni, numeri molto scarsi rispetto alle previsioni (ma non siamo sorpresi)
Bene, in questo punto stampa, dove Elon Musk parlava dallo Studio Ovale come se fosse suo, in piedi con Trump a guardarlo dal basso all’alto, il Presidente (o uno dei due, per come si delineano i rapporti e i poteri esecutivi) ha annunciato come il DOGE avrebbe già trovato decine di miliardi di dollari per poter applicare i loro tagli, con la cifra che potrebbe raggiungere addirittura i 500 miliardi di dollari. Ovviamente tutto questo non rappresenta la realtà.
Annunci smentiti dalle verifiche
Secondo il Washington Post, la cifra sarebbe vicina ai sei miliardi di dollari, neanche vicina alle decine, o ai 500 miliardi dichiarati dal presidente. È come se una persona annunciasse di aver trovato una banconota da cinquecento euro per terra, per poi andare a vedere come questa sia effettivamente solo un pezzo da cinque.
Un altro problema che si pone quando si parla del DOGE è la scarsa trasparenza e verificabilità dei dati sostenuti. Infatti, il dipartimento non ha ancora un proprio sito ufficiale attivo (sembra che entrerà in funzione tra poco), non ha un indirizzo o delle modalità con cui la stampa possa raggiungere il dipartimento, che risulta attivo soprattutto su X. Secondo Stephen Fowler di NPR, un post del DOGE che sosteneva tagli per un miliardo di dollari a contratti DEI non aveva corrispettivi sul portale Usa Spending, che viene aggiornato quasi quotidianamente.
Effettivamente, dando un’occhiata anche abbastanza superficiale al profilo X del DOGE, molti dei posti vengono pubblicati senza fornire alcuna prova del fatto che le cancellazioni siano effettivamente avvenute, o che l’oggetto dei contratti cancellati sia coerente con quanto dichiarato: basti pensare alle dichiarazioni sui 50 milioni di dollari che secondo Trump e Musk venivano dati a Gaza per dei profilattici, e che secondo i due presidenti venivano in realtà utilizzati per fabbricare bombe, quando nella realtà i fondi andavano alla regione di Gaza nel Mozambico, a circa seimila chilometri di distanza dalla Striscia.
In un post, si legge come siano stati tagliati nove milioni di dollari in contratti anche per temi come “Central American gender assessment consultant services”, “Brazil forest and gender consultant services”, senzaportare nessuna prova del fatto.
I vincoli di realtà
Sommando le cifre che vengono riportate sul profilo X del dipartimento, dal 7 al 14 febbraio risultano tagliati ufficialmente 1,84 miliardi di dollari, da sommare a circa 4 miliardi di dollari derivanti da tagli a procedure amministrative. Se volessimo fare uno sciocco esercizio di logica, la media per il periodo di riferimento ammonta a circa 230 milioni di dollari al giorno, che corrisponderebbero a 84 miliardi di dollari in un anno, quasi un quinto dei 500 miliardi dichiarati da Trump e lontanissimi dai 1000 miliardi che sono uno dei target dichiarati da Musk per il DOGE.
Questa valutazione si basa sulla possibilità, tutt’altro che scontata, che nel corso del tempo sarà sempre facile trovare e successivamente cancellare contratti governativi, e non è difficile supporre che prima o poi si creeranno dei conflitti tra DOGE e politici, che spesso tramite piccoli emendamenti in legge di bilancio riescono a trovare delle risorse molto importanti per il loro territorio e, soprattutto, per il loro consenso.
Un altro tema da tenere in considerazione sarà sicuramente la risposta giudiziaria a tanti dei tagli che verranno annunciati dal DOGE. Infatti, l’esecutivo non può andare a toccare il cosiddetto “mandatory spending”, ovvero la spesa obbligatoria prevista da almeno una legge approvata dal Congresso. Trump ed il suo vicepresidente JD Vance stanno prendendo tanto dal repertorio italiano, accusando i giudici di essere “radical left liberals” e che questi ultimi non avrebbero il potere di bloccare l’esecutività degli ordini presidenziali.
Solo per fare un appunto, negli Stati Uniti i giudici federali sono nominati dal Presidente e confermati dal Senato; quindi, è facile rintracciare come tanti giudici che hanno bloccato nel corso degli ultimi giorni degli ordini esecutivi o delle leggi siano stati nominati da Presidenti Repubblicani come Reagan o Bush senior.
I rischi di costituzionalità
In conclusione, l’iniziativa del DOGE, sebbene presentata come una strategia audace e necessaria per ridurre la spesa pubblica, solleva più di una perplessità. La discrepanza tra le dichiarazioni trionfalistiche e i numeri effettivi, unita alla scarsa trasparenza e alla mancanza di prove concrete sui risparmi, mette in dubbio l’efficacia e la legittimità di questo approccio.
In un contesto politico e giuridico già intrinsecamente complesso, i tagli previsti potrebbero generare non solo conflitti interni tra i vari livelli di governo, ma anche sollevare questioni legali che rischiano di generare una crisi costituzionale, in un contesto in cui il potere è sempre più schiacciato verso l’esecutivo, con una reale minaccia ai “checks and balances” che caratterizzano tutto il disegno costituzionale statunitense.
La gestione delle risorse pubbliche non può essere ridotta a slogan o a manipolazioni numeriche, ma richiede un approccio ponderato, verificabile e in linea con le leggi e i principi costituzionali. Solo attraverso un processo di riforma reale, trasparente e accorto sarà possibile raggiungere un’efficace ottimizzazione della spesa pubblica senza compromettere i diritti e i benefici di coloro che dipendono dalle risorse statali.