La nuova tassa UE sul vino: per dirla con Draghi, continuiamo a imporci dazi da soli

Daniele Venanzi
18/02/2025
Interessi

Dalle pagine del Financial Times, con dichiarazioni di rara schiettezza, Mario Draghi commenta che “l’Europa è riuscita a imporsi i dazi da sola”. Non solo dazi, a dire il vero: a questi, occorre aggiungere regolamentazioni suicide e odiosi balzelli. Rischia ora di apprenderlo, suo malgrado, anche il settore enologico, intento a scongiurare l’introduzione di una nuova tassa comunitaria sul vino – ultima trovata della Commissione, sempre più in preda a una furia dirigista, miope e autodistruttiva.

L’eventuale nuova gabella, come confermato dalla Commissione, viene paventata nei lavori di revisione della direttiva vigente sulle aliquote minime di accisa da applicare alle bevande alcoliche che, attualmente, è pari a zero per il vino e i fermentati come la birra. Parte del piano BECA – Beating Cancer presentato già nel febbraio 2021, l’aumento della tassazione è previsto dalla roadmap del progetto comunitario sin dalla sua ideazione e fungerebbe, a detta delle istituzioni, da “strumento strategico di prevenzione” del cancro e volto a coprire i costi sociali dell’abuso di alcool.

Quella salutista, d’altronde, è da sempre l’alibi perfetta dietro cui si celano le politiche proibizioniste, attuate da istituzioni che ricorrono al paternalismo per nobilitare la causa con cui, in realtà, mirano solamente a rimpinguare le casse dell’erario – rendendo felice, nel frattempo, qualche gruppo di pressione convinto, come fossimo ancora negli anni ‘20 dello scorso secolo, che la piaga dell’alcolismo si combatta a colpi di proibizione.

Proibire non significa far bere meno, ma peggio

Se vi è una lezione da trarre dalla storia del Proibizionismo americano è proprio che, vietando il consumo d’alcool, gli individui non bevono meno ma peggio – permettendo, nel frattempo, che individui come Al Capone e Lucky Luciano facciano fortuna. Che il vino venga messo completamente al bando o reso più caro per decreto, il risultato non cambia: provocando un aumento artificiale dei prezzi, a calare non sarebbe la quantità di individui che abusa della sostanza, ma la qualità del prodotto consumato. Pur di non sostenere i rincari imposti dal nuovo regime, infatti, i consumatori finirebbero per acquistare vino più economico, ossia più scadente: in sostanza, più dannoso per la salute. Parimenti, i produttori sarebbero incentivati dall’andamento della domanda a offrire prodotti più scadenti, livellando a ribasso la qualità dell’output dell’intero settore, con ovvie ripercussioni negative per tutto l’indotto che – è bene ricordare – parte dalla filiera agricola europea: un patrimonio continentale già sufficientemente messo a dura prova da politiche comunitarie protezioniste e non più sostenibili.

Come ottenere l’effetto opposto a quello desiderato

È l’incapacità della classe dirigente di scorgere, per dirla con Frédéric Bastiat, “ciò che non si vede” al di là di “ciò che si vede”: ciò che non si vede sono le conseguenze inintenzionali delle politiche dirigiste e costruttiviste, mosse dalla convinzione che la volontà degli individui in seno alla società possa essere “ingegnerizzata” e piegata a quella del legislatore. Nel caso specifico, da un aumento dell’aliquota sul vino a scopi apparentemente salutistici si otterrebbe l’effetto opposto a quello desiderato: anziché promuovere il benessere dei cittadini, Bruxelles si farebbe promotrice del consumo di alcolici più nocivi – in barba a tutte le qualità che rendono il vino uno dei prodotti europei più apprezzati al mondo, la cui esportazione vale più di 30 miliardi di euro l’anno, con l’Italia e la Spagna a dominare la classifica per quote di mercato e la Francia in testa per valore.



Le pessime intenzioni della Commissione, come avvertono le rappresentanze di categoria, non si limitano al rialzo delle accise, ma ambiscono a imporre nuovi vincoli alla pubblicità degli alcolici e a limitare le vendite transfrontaliere, con buona pace della libera circolazione delle merci: una mossa alquanto ipocrita, da parte di chi, giustamente, taccia Donald Trump di aver introdotto dazi iniqui per poi riuscire nell’impresa, tornando alle riflessioni lapidarie di Mario Draghi, di imporseli da solo.

Non ci resta che sperare nell’efficacia della levata di scudi congiunta di tutta l’area mediterranea che, da sola, contribuisce per circa la metà della produzione mondiale di vino. A Bruxelles non guasterebbe, di tanto in tanto, un approccio federalista, sia a livello normativo che fiscale, per un’istituzione sovranazionale che, al contrario, riesce nell’impresa di mostrarsi persino più centralista degli Stati-nazione più monolitici.