Viva il sistema elettorale proporzionale, viva il parlamentarismo
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Che lezione possiamo trarre dalle elezioni tedesche, al di là della sensazione del “pericolo scampato”?
Una prima fondamentale lezione, a nostro parere, l’ha data l’affluenza al voto, uno straordinario 84 per cento, una partecipazione paragonabile solo a quella del 1990, l’anno dell’unificazione. L’opinione pubblica tedesca ha colto con piena consapevolezza la delicatezza del “tornante” storico che stiamo affrontando e hanno voluto esprimersi in massa, dando piena e totale solidità democratica alle proprie istituzioni. E’ la migliore risposta alle lezioni urlate dei nuovi profeti d’Oltreoceano.
La seconda lezione è che la Germania rimane una roccaforte della democrazia rappresentativa, grazie a un sistema elettorale proporzionale e a un parlamentarismo che si confermano baluardi insostituibili in una società sempre più polarizzata, segmentata e catturata da “bolle” di comunicazione.
I risultati dimostrano che il modello tedesco riesce a riflettere le molteplici sensibilità di un Paese avanzato e complesso, costringendo le forze politiche a dialogare e mediare, mentre tiene a bada gli estremismi che vorrebbero minare le fondamenta democratiche. In un’epoca in cui la polarizzazione politica e sociale sembra dilagare, in primis negli Stati Uniti, il sistema proporzionale misto della Germania – con il suo doppio voto, maggioritario per i collegi uninominali e proporzionale per le liste di partito – garantisce che nessuna voce significativa venga esclusa dal Bundestag, a patto di superare la soglia del 5%. Questo meccanismo non distorce ma funziona come uno specchio della società tedesca: frammentata sì, ma rappresentata nella sua pluralità. La CDU/CSU di Friedrich Merz, pur vincitrice, non può governare da sola e dovrà cercare un’alleanza con le forze politiche con cui più credibilmente potrà costruire un programma di governo concreto e fattibile, a cominciare dalla SPD, in un esercizio di compromesso che è l’essenza stessa del parlamentarismo e in fondo della nostra stessa società.
Una formula non inedita per la Germania, visto che Angela Merkel ha governato per 16 anni con i socialdemocratici, dimostrando che destra e sinistra possono dialogare, pragmaticamente, fissando i paletti in un programma di cose da fare e da non fare (un confronto impietoso con l’Italia, dove il dibattito resta inchiodato a una stantia dicotomia tribale).
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La frammentazione del voto non produce ingovernabilità, ma costringe tutti a sedersi al tavolo della trattativa e a porsi il problema del governo reale del Paese, oltre gli slogan e le isterie delle campagne elettorali permanenti. L’idea illusoria con cui negli Anni Novanta ci siamo innamorati del principio per cui “uno vince e l’altro fa opposizione“, o che “la sera stessa si sa chi governa“, ha portato a vittorie elettorali, ma non a costruire piani e programmi di governo.
Nessun partito, neanche quello più votato, può imporre la propria agenda senza negoziare: una dinamica che riflette la maturità di una democrazia chiamata a rispondere a sfide complesse, dalla crisi economica alla guerra in Ucraina, dal nuovo complicato rapporto dell’Europa con gli Stati Uniti fino al governo delle furenti innovazioni tecnologiche.
È questa la forza del proporzionale e del parlamentarismo: trasformare la diversità in dialogo, la polarizzazione in compromesso, l’estremismo in impotenza. In un mondo dove le democrazie vacillano sotto i colpi di populismi e ingerenze straniere, la Germania dimostra che un sistema ben congegnato può non solo sopravvivere, ma prosperare. Viva il proporzionale, vive il parlamentarismo: sono loro i veri vincitori del 23 febbraio 2025.
La necessità di dialogo, questa “condanna” alla mediazione, è una barriera naturale contro gli estremisti. L’AfD, nonostante il suo exploit al 20,8%, resta fuori da qualsiasi coalizione di governo banalmente perché il suo programma non ha alcuna compatibilità con le idee e la visione di Paese delle altre forze politiche.
Non è solo una questione pregiudiziale – il “cordone sanitario”, il famoso Brandmauer contro le pulsioni dell’estrema destra – ma è proprio una questione molto concreta di incompatibilità tra programmi di governo. Le posizioni degli estremisti, che prosperano alimentando paure su immigrazione, declino economico e identità nazionale, non trovano alcuna possibile composizione spazio in un sistema disegnato per premiare la mediazione e punire l’intransigenza. Il loro obiettivo di dissolvere le istituzioni democratiche, magari sognando un’uscita dall’UE o un riavvicinamento alla Russia, si scontra con una realtà politica e “aritmetica” che li isola: il parlamentarismo tedesco è un antidoto efficace contro derive autoritarie.
E qui entra in gioco un altro aspetto cruciale: il fallimento del tentativo del regime russo di Vladimir Putin di infiltrare il sistema politico del più grande Paese dell’Unione Europea. Mosca, con il sostegno dei suoi nuovi alleati americani – Elon Musk e Donald Trump – ha puntato sull’AfD come cavallo di Troia per destabilizzare la Germania e, di riflesso, l’Europa. Musk, con i suoi interventi pubblici e il sostegno esplicito all’AfD, ha cercato di amplificare e a suo modo normalizzare il messaggio estremista attraverso la sua piattaforma X, mentre Trump, fresco di vittoria negli USA, ha strizzato l’occhio a una destra radicale che condivide la sua ostilità verso NATO e UE. Eppure, questo piano è naufragato. Il sistema elettorale proporzionale ha sì dato all’AfD una rappresentanza imponente, ma il parlamentarismo tedesco l’ha confinata ai margini. Nessuna coalizione possibile includerà un partito filorusso che promuove la “remigrazione” e il disimpegno da Kyiv: la Germania ha scelto la stabilità e l’Europa, non il caos e l’isolazionismo. Il nostro auspicio è che ora il futuro cancelliere Merz sappia riportare la Germania al ruolo di protagonista che le spetta, anzitutto sul dossier caldissimo dell’autonomia strategica e militare europea dagli Stati Uniti.
PS. Consiglio ai naviganti: dimenticato lo stile Merkel (di cui la stessa ex cancelliera, nel suo recente libro, ha evidenziato l’inadeguatezza ai tempi), con Merz avremo (ed è importante) una Germania più assertiva.