L’accordo USA-Ucraina su minerali e terre rare: i nostri commenti
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Gli Stati Uniti – nella nuova modalità predatoria dell’epoca trumpiana – allungano la mano verso il tesoro nascosto nel sottosuolo di Kyiv – titanio, litio, terre rare – promettendo investimenti in cambio di una fetta dei proventi ed evocando garanzia di sicurezza che ancora non ci sono. Ma mentre la bozza circola in rete in queste ore (diffusa dal Kyiv Independent), una domanda aleggia: sarà un patto per la sicurezza e la rinascita, un baratto che ipotecherà il futuro di una nazione o una minaccia intollerabile?
Il testo dell’accordo non è sufficiente a rispondere, perché troppe sono le zone d’ombra e tante le questioni lasciate volutamente indefinite, rimandate a un successivo accordo (Fund Agreement) relativo alla struttura e alla governance del “Fondo di Ricostruzione” congiunto, finanziato in buona parte dallo sfruttamento delle vaste (ma in gran parte inesplorate) risorse minerarie dell’Ucraina.
Dalla proposta “coloniale” al compromesso attuale
La bozza di accordo è il frutto di un negoziato lungo e complesso. L’Amministrazione Trump avrebbe inizialmente proposto di pretendere fino a 500 miliardi di dollari di “rimborso” a fronte degli aiuti statunitensi – una cifra considerata sproporzionata rispetto ai 110-120 miliardi effettivamente erogati dagli Stati Uniti (circa un terzo, insomma, dei 350 miliardi di aiuti più volte rivendicati dal presidente americano). Tale impostazione è stata bollata come “coloniale” dagli ucraini, incluso il presidente Volodymyr Zelensky, che l’aveva rifiutata con coraggio, considerandola una cessione eccessiva della sovranità economica in un momento di estrema vulnerabilità.
La nuova bozza, trapelata e in attesa di firma a Washington entro la fine di febbraio, pare più equilibrata: prevede infatti la creazione di un Fondo di Ricostruzione congiunto, al quale l’Ucraina contribuirebbe con il 50% dei proventi derivanti dai futuri progetti di estrazione mineraria (inclusi petrolio e gas peraltro). Sono esclusi i giacimenti già sfruttati e le fonti di reddito energetiche “storiche”, come quelle di Naftogaz e Ukrnafta, oggi fondamentali per il bilancio statale. Sebbene restino ambiguità sui dettagli di governance, questa forma di “co-partecipazione” rappresenta un’attenuazione delle iniziali pretese statunitensi.
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La cornice dell’accordo: un Fondo per la ricostruzione
In base alla bozza, il Fondo sarebbe di proprietà congiunta: gli Stati Uniti si impegnerebbero a mantenere un “contributo finanziario di lungo periodo” per promuovere la stabilità e la prosperità economica dell’Ucraina. L’obiettivo dichiarato è monetizzare le risorse naturali – minerali, idrocarburi e altre materie prime – e reimpiegare una parte dei ricavi in progetti infrastrutturali e industriali sul territorio ucraino.
La clausola più spinosa rimane la quota di profitti e la gestione del capitale. La versione attuale stabilisce che il Governo ucraino non possa vendere o cedere senza preavviso il proprio interesse nel Fondo, e che entrambi i governi (Kyiv e Washington) abbiano pari diritti di veto sulle modifiche sostanziali. Tuttavia, resta da chiarire quale sarà l’effettivo potere decisionale degli investitori americani e se l’Ucraina avrà voce sufficiente nella definizione delle priorità economiche.
Il potenziale tesoro sotterraneo ucraino
Il motivo principale dell’interesse statunitense è evidente: l’Ucraina è ritenuta uno dei paesi più promettenti in Europa per ricchezza mineraria. Tra i depositi più rilevanti:
- Titanio. L’Ucraina è l’11° produttore mondiale e vanta riserve ingenti nella regione di Kirovohrad e altrove. Questo metallo è cruciale per l’industria aerospaziale, medica e automobilistica. Secondo Forbes.ua, il titanio potrebbe rappresentare una componente miliardaria del totale delle risorse, se adeguatamente sfruttato.
- Litio. Terze riserve stimate in Europa, con giacimenti a Shevchenkivske (Donetsk) e Dobra (Kirovohrad). Il litio è strategico per la produzione di batterie elettriche e la transizione energetica globale. Al momento, però, le aree di estrazione non sono in produzione commerciale e molte sono vicine alle linee del fronte, esponendosi a rischi bellici e di sicurezza.
- Terre rare. Nonostante i proclami ufficiali, l’Ucraina non sembra competere con la Cina, che da sola copre il 70% della produzione mondiale di questi 17 elementi chiave per elettronica e tecnologie verdi. Gli studi risalgono spesso all’era sovietica e mancano dati moderni affidabili. Il valore è più geopolitico che economico nell’immediato.
- Grafite. L’Ucraina detiene fino al 20% delle riserve mondiali; un potenziale significativo per le batterie e vari settori industriali. Anche in questo caso, la guerra ha colpito molte aree di estrazione, frenando l’espansione produttiva.
- Altri minerali ed energetici. Ferro (circa il 10% delle riserve mondiali), manganese, uranio, nichel, cobalto e gas naturale completano il quadro. Tuttavia, oltre il 70% di queste ricchezze si concentra nel Donbass, area ancora in parte sotto controllo o influenza russa.
Il nodo della sicurezza e l’assenza di impegni militari
Se dal punto di vista economico l’accordo appare più equilibrato rispetto alle prime bozze, molte perplessità emergono dal lato della sicurezza. Gli Stati Uniti non hanno incluso garanzie militari formali a difesa dell’Ucraina: l’intesa si limita a citare generiche “misure per garantire la pace e gli investimenti comuni”, un riferimento giudicato insufficiente da Kyiv.
La mancanza di un impegno chiaro contro possibili future aggressioni russe rappresenta anche un rischio politico: parte dell’opinione pubblica ucraina teme di “svendere” le proprie risorse senza ottenere in cambio un ombrello di sicurezza. Alcuni esponenti del governo ucraino – come la vice-prima ministra Olha Stefanishyna – hanno parlato di un “quadro più ampio” di cui l’accordo sulle risorse dovrebbe essere un tassello, ma al momento i dettagli non sono stati resi noti, generando incertezze sia nel mondo imprenditoriale, sia fra i cittadini.
Implicazioni per l’Europa, prospettive e incognite
L’Unione Europea osserva da vicino i negoziati. Nel 2021, dunque prima dell’invasione russa, Bruxelles aveva siglato un memorandum con Kiev sui minerali critici per la transizione energetica; eppure, l’eventuale intesa con gli Stati Uniti rischia di ridimensionare il ruolo dell’Europa come principale partner economico.
L’accordo, nella sua forma attuale, ha un carattere più simbolico che immediatamente operativo. Il potenziale minerario dell’Ucraina è molto grande sulla carta, ma gli investimenti necessari per estrarre e lavorare tali risorse – specialmente in un contesto di conflitto – restano un’incognita. Senza un cessate il fuoco stabile e senza infrastrutture modernizzate, il valore reale di titanio, litio e grafite rimarrà in gran parte teorico. Anche le imprese americane potrebbero esitare a impegnare capitali se permangono rischi elevati e dati geologici imprecisi. Non solo, think tank come il Carnegie Endowment hanno notato che l’accordo USA-Ucraina sembra concentrarsi sull’accesso alle materie prime per ridurre la dipendenza dalla Cina, ma non affronta il problema della raffinazione. Gli Stati Uniti stessi hanno una capacità limitata in questo campo (uno scarno 1% delle terre rare raffinate globalmente, secondo USGS 2023), e dipendono ancora da Pechino per molti prodotti finiti.
Sul piano interno, il Parlamento di Kyiv dovrà ratificare l’accordo, in ottemperanza alla legge ucraina sui trattati internazionali. Non è escluso che emergano proteste o richieste di chiarimento, considerato che la Costituzione ucraina (art. 13) afferma che il sottosuolo appartenga al popolo.
Conclusioni
La bozza di accordo e il disegno generale del “Fondo di Ricostruzione” USA-Ucraina rappresenta senza un passo avanti rispetto alle tensioni scatenatesi nei giorni scorsi, a seguito dell’incontro tra la delegazione americana e quella russa a Riad. Per gli Stati Uniti, al di là delle pretese eccessive di Trump, si tratta di una mossa strategica per assicurarsi un ruolo privilegiato nell’accesso a materie prime chiave, riducendo la dipendenza da fornitori come Cina e Russia. Per l’Ucraina, si aprono prospettive di investimenti post-bellici: un segnale che il Paese non sarà abbandonato al proprio destino. Tuttavia, l’assenza di impegni militari e di sicrezza espliciti, la governance ancora nebulosa del Fondo e l’incertezza sul controllo delle regioni orientali (ricche di alcuni minerali e di terre rare) minano la reale portata e fattibilità dell’intesa.
In definitiva, l’efficacia di questo accordo – se finalizzato – dipenderà dalla capacità di tradurre il potenziale minerario ucraino in progetti di sviluppo concreti, dall’effettivo apporto di capitali americani e, soprattutto, dalla fine del conflitto e dalla stabilizzazione dell’Ucraina. Fino ad allora, il documento appare più un atto di volontà politica (o di marketing trumpiano) che un volano destinato a produrre risultati tangibili nel breve termine. Staremo a guardare: con Trump si vive alla giornata.