La vittima dell’agguato mafioso di Trump è l’Occidente

Piercamillo Falasca
28/02/2025
Frontiere

È andata in onda, di fatto, una sorta di “versione globale dello streaming di Beppe Grillo”. Proprio così possiamo definire l’incredibile scena allestita nell’Ufficio Ovale della Casa Bianca il 28 febbraio 2025 (segniamoci la data), dove il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il vicepresidente JD Vance hanno scelto – razionalmente – di ingaggiare uno scontro verbale con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky di fronte alla stampa americana e internazionale.

Non buffoni, ma metodi mafiosi

Per quel che è accaduto, sarebbe sbagliato definire Trump e Vance “buffoni” o “pagliacci”: definizioni che si prestano bene per i loro camerieri italiani, ma non per i due.

Definire buffoni o pagliacci l’uomo più potente del mondo e il suo vice, oltre a essere banale, rischia di sminuire la gravità dei toni usati. Se costoro ricorrono a metodi e linguaggi di stampo mafioso – pressione, intimidazioni, delegittimazione pubblica – occorre chiamare le cose con il loro nome. Durante l’incontro, infatti, Trump ha accusato Zelensky di “ingratitudine” e di “giocare con la vita di milioni di persone”. Vance lo ha rimproverato per non aver mostrato abbastanza gratitudine verso gli Stati Uniti, riducendo a una mera questione di buone maniere quella che, in realtà, è una tragedia umanitaria e geopolitica. Il tutto mentre sul tavolo era in discussione un possibile accordo sui minerali rari e il proseguimento del sostegno militare contro l’aggressione russa.

Trump umilia l’Occidente, non Zelensky

A ben vedere, la vera vittima dell’agguato non è stato Zelensky, quanto l’intero Occidente che Trump pretende di rappresentare. L’umiliazione gravissima ricade su tutti noi cittadini delle due sponde dell’Atlantico, quando l’incontro con un leader che difende il proprio Paese da un’aggressione illegale e sanguinaria diventa un esercizio di arroganza e uno sfoggio inutile di potere.

Al contrario, Zelensky ha mostrato dignità e una tenuta morale che forse solo chi lotta per la sopravvivenza del proprio Paese può trovare dentro di sé. Ha cercato di sollevare la questione cruciale delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina, ricordando l’aggressione di Putin e la realtà di un conflitto che non accenna a diminuire. Ha provato a usare onestà intellettuale, sottolineando a Trump che a questo mondo nessuno – nemmeno gli Stati Uniti – non hanno difficoltà in una guerra. E se anziché farsi riformare, da coniglio, Donald Trump avesse preso servizio durante la guerra del Vietnam, forse oggi avrebbe riconosciuto la bontà e la sincerità delle parole di Zelensky.

Zelensky argomentava, peraltro nella lingua degli altri e non nella sua, ed è stato interrotto e accusato di mancanza di rispetto da quei due infami di casa.

L’incontro si è concluso ovviamente senza l’accordo previsto sulle terre rare e senza conferenza stampa congiunta, con Trump che, via social, ha accusato Zelensky di non “essere pronto per la pace” e di aver mancato di rispetto all’America. Parole che segnano un solco profondo, rischiando di compromettere quella stessa alleanza da cui l’Ucraina trae – o traeva – sostegno in un momento drammatico della sua storia. Se Trump voleva rimarcare la posizione di forza di Washington, ha finito solo per dar prova di un’ottusità diplomatica che rischia di favorire ulteriormente la strategia espansionistica di Putin. A Mosca stasera si brinda.

C’è solo l’Europa per l’Ucraina

Di fronte a questa performance di stampo teatrale, che non esita a giocare con la vita di milioni di persone, l’Europa ha oggi il dovere di reagire in modo fermo e compatto. La guerra in Ucraina interessa tutti coloro che credono nella libertà e nella difesa dei diritti fondamentali.
Siamo di fronte a un’emergenza: l’Ucraina ha bisogno di garanzie e aiuti concreti, e noi europei siamo rimasti i soli che possono continuare a fornirli con lealtà e rispetto per il sacrificio che gli ucraini stanno compiendo per tutti noi.