L’Ucraina ha ormai un esercito NATO, esperto e “dronizzato”: volete lasciarlo a Putin?

Sostenere l’Ucraina non è soltanto un atto di solidarietà o l’espressione di un principio morale. È, prima di tutto, una decisione pragmatica, quasi “egoistica”, che risponde a un preciso interesse di sicurezza per l’Europa. Da tre anni, l’esercito ucraino è impegnato in un conflitto intenso contro le forze russe e i separatisti sostenuti da Mosca. In questa guerra moderna, che mescola tattiche convenzionali, operazioni ibride e attacchi informatici, i militari di Kyiv hanno sviluppato una competenza straordinaria, imparando a usare tecnologie e procedure avanzate fornite dalla NATO e integrandole con strategie innovative.
Questa esperienza diretta su un campo di battaglia tanto complesso ha trasformato l’Ucraina in una sorta di “laboratorio vivente” della guerra contemporanea. A differenza dei Paesi che vivono in pace da decenni, l’Ucraina sa cosa significhi affrontare, giorno dopo giorno, un nemico che non si limita alla forza militare, ma sfrutta anche la propaganda, la pressione economica e l’intimidazione energetica. Sostenere Kyiv significa dunque preservare un alleato prezioso che, di fatto, sta facendo da scudo all’Europa, e avere accesso a un patrimonio di lezioni pratiche utili anche per la difesa dei membri dell’UE. L’uso dei droni, la difesa dai cyberattacchi, la capacità di reagire rapidamente alle manovre di un avversario potente: tutto ciò conferisce alle forze armate ucraine un bagaglio di conoscenze unico.
Tra gli aspetti più rilevanti spicca proprio l’uso avanzato dei droni: per fare un esempio, i soldati ucraini impiegano mezzi come il Bayraktar TB2, dotato di sistemi di puntamento laser e munizioni MAM-L in grado di neutralizzare veicoli corazzati con altissima precisione. È stato perfezionato il coordinamento tra droni e artiglieria, elemento cruciale per localizzare obiettivi e ottimizzare i colpi sul campo. Queste tecniche, ancora in evoluzione in ambito NATO, offrono lezioni importanti su come integrare i droni in scontri convenzionali.
Sul fronte della guerra elettronica, l’Ucraina ha affrontato sistemi di jamming russi come il Krasukha-4, mantenendo operative le reti grazie a comunicazioni ridondanti e frequenze alternative. In un’epoca di guerra ibrida, ciò dimostra l’importanza di difendere infrastrutture critiche e reti strategiche. Lo stesso vale per le tattiche di guerriglia urbana, messe in atto durante la battaglia di Mariupol, dove truppe regolari e milizie locali hanno mostrato strategie di difesa creative, persino con droni commerciali modificati.
Un altro pilastro è l’integrazione di sistemi d’arma NATO, dai missili anticarro Javelin ai lanciarazzi HIMARS con munizioni GMLRS, capaci di centrare bersagli a decine di chilometri. Kyiv ha adottato rapidamente standard occidentali anche per la difesa aerea, installando sistemi Patriot e coordinandoli con software innovativi come Kropyva.
Se tutto questo patrimonio di competenze fosse distrutto o, peggio, finisse in mano russa, Mosca otterrebbe un esercito addestrato secondo le procedure NATO. Soldati e ufficiali ucraini potrebbero essere cooptati e obbligati a condividere segreti sulle tattiche di terra, sull’impiego di droni e sulle procedure di comando. La Russia, analizzando equipaggiamenti catturati svilupperebbe rapidamente contromisure per renderli meno efficaci in futuro. Avrebbe anche accesso all’esperienza accumulata nel contrastare la propria artiglieria e i droni Orlan-10, la cui pericolosità sarebbe ulteriormente affinata conoscendo le scoperte ucraine sulle loro vulnerabilità.
L’idea di cedere alle richieste di Putin e permettere alla Russia di trasformare l’Ucraina in uno stato fantoccio comporterebbe dunque conseguenze molto più gravi di una semplice revisione dei confini geografici. L’intero “capitale militare” ucraino, forgiato da una guerra reale e dotato di armi e procedure occidentali, finirebbe nelle mani di Mosca. Un esercito esperto e armato secondo gli standard NATO, ma controllato dal Cremlino, amplificherebbe in modo esponenziale la potenza di una Russia che ha già manifestato ambizioni espansionistiche in diverse aree del continente, dalla Georgia ai confini con i Paesi baltici. Un’Ucraina sottomessa diverrebbe un’enorme piattaforma militare, situata a ridosso degli Stati europei orientali, pronta a minacciare la sicurezza regionale e a destabilizzare ulteriormente il quadro geopolitico continentale.
Per l’Europa, evitare che ciò avvenga è un gesto di responsabilità verso se stessa. La stabilità regionale, la sicurezza collettiva e la difesa dei confini orientali dipendono anche dalla capacità di arginare l’espansionismo russo. Sostenere l’Ucraina serve a mantenere in vita un argine strategico, mentre rinunciare alla difesa dell’Ucraina significherebbe regalare a Mosca un vantaggio militare e politico che, a lungo termine, potrebbe tradursi in minacce ben più concrete alla stabilità di molti Paesi UE.
Il diritto all’autodeterminazione dell’Ucraina e la salvaguardia dei valori democratici restano gli aspetti più nobili della questione, ma in gioco c’è anche l’interesse immediato dell’Unione Europea. Non si tratta, dunque, solo di empatia verso un popolo aggredito, ma di razionalità: difendendo l’Ucraina, l’Europa tutela se stessa, protegge i propri confini e conserva la possibilità di attingere a un bagaglio di competenze militari che, se andasse perso o finisse al servizio di Mosca, rischierebbe di ribaltare gli equilibri di potere nel continente.