Come Giorgia può uscire dall’angolo, per l’Italia e per l’Europa

Emanuele Pinelli
03/03/2025
Poteri

I fatti dell’ultima settimana sono noti quasi a chiunque. Durante un incontro alla Casa Bianca, Donald Trump e il suo vice JD Vance hanno litigato in diretta mondiale con il presidente ucraino Zelensky. 
Il pretesto è stata una schietta risposta di Zelensky che, di fronte alla vanteria che la “diplomazia” di Trump sarebbe stata più efficace del supporto di Biden, ha ricordato come gli accordi con Putin firmati durante la prima presidenza Trump fossero stati tutti violati.  

I due statunitensi hanno reagito con una valanga di affermazioni false e superficiali, quando non paternalistiche e mafiose: hanno accusato l’ucraino di essere un ingrato, di aver scroccato all’America 350 miliardi (cifra totalmente inventata), di star giocando d’azzardo con le vite di milioni di persone nonché con la terza guerra mondiale, di non avere buone carte, di aver messo il suo paese in un grosso guaio, di non essere in una buona posizione, di non avere più uomini da mandare al fronte. Quando hanno visto che Zelensky ribatteva punto per punto, hanno interrotto l’incontro.

Più di un osservatore ha commentato che lo scontro potrebbe essere stato montato ad arte, per giustificare una decisione sull’Ucraina che Trump in realtà aveva già preso. Ma questo cambia poco rispetto al quadro generale.

Il miliardario, per ragioni elettorali, vorrebbe imporre una tregua tra Russia e Ucraina il prima possibile e a qualsiasi costo, esibendo magari ai suoi fanatici supporter qualche profitto materiale per gli USA (le famose “terre rare”). 
Purtroppo per lui, però, regime russo e popolo ucraino hanno esigenze totalmente inconciliabili sulle condizioni alle quali accetterebbero una tregua. Gli ucraini stavolta chiedono per il loro futuro una garanzia concreta: ingresso nella NATO, bombe nucleari o esercito europeo schierato a difenderli. 
Putin, dal canto suo, non può accettare nessuno di questi tre esiti, e, anzi, insiste nel voler annettere le intere regioni di Donetsk, Kherson e Zaporizhzhija (dove il suo esercito è immobilizzato e ha perso mezzo milione di effettivi in un anno senza ottenere progressi tangibili).

Dunque, per il malcapitato Trump, non c’è “diplomazia” che tenga: alla fine sarà costretto a buttare giù dalla torre o la Russia o l’Ucraina. E dal momento che gli uomini della sua cerchia, i suoi comunicati ufficiali e alcuni suoi decreti sembrano manifestare un inquietante allineamento con Putin e un sacrificio totale dell’Ucraina, l’Europa non è rimasta a guardare.

Meno di 48 ore dopo il litigio alla Casa Bianca, re Carlo ha ricevuto a sua volta Zelensky, accreditandolo come capo di stato legittimo contro ogni calunnia diffusa dai trumpiani.
Quindi il primo ministro britannico Starmer ha riunito i leader dei principali paesi europei, della Turchia e del Canada, per prepararsi all’eventuale arrivo del “peggiore dei mondi possibili”: quello in cui America e Russia si alleano sulla pelle delle democrazie minori.



Intendiamoci: non è detto che il “peggiore dei mondi possibili” arrivi davvero. Ma prepararsi al “peggiore dei mondi possibili” è la migliore strategia per scongiurarlo. Tanto più il “patto del diavolo” con Putin apparirà inutile e costoso, tanto più sarà difficile stringerloper gli americani: e se i maggiori paesi europei, la Turchia e il Canada si compatteranno per renderlo inutile e costoso, avranno buone possibilità di riuscirci.

Intendiamoci anche su un altro fatto: quello fra europei, turchi e canadesi sarà per forza un compromesso al ribasso. Ad esempio, non c’è consenso sul trasferire all’Ucraina i quasi 200 miliardi russi sequestrati in Europa: sono troppi i timori che ciò inneschi fughe di capitali in futuro.
Solo tre paesi (Francia, Gran Bretagna e Canada), più forse la Germania, si sono detti disponibili a mandare truppe di terra o squadroni aerei a proteggere l’Ucraina nel caso in cui Trump la svendesse ai russi con un accordo-capestro. Sono tra i più grandi e potenti, certo, ma potrebbero non bastare.
L’intervento della Turchia, militarmente fortissima, non è mai gratuito e spesso danneggia gli interessi all’estero di alcuni paesi del vecchio continente.

Eppure, per quanto al ribasso, le decisioni prese sono state epocali. L’Ucraina continuerà ad avere assistenza finanziaria (si parla di almeno 40 miliardi), continuerà ad avere forniture militari (si parla di 5.000 missili antiaerei solo dagli inglesi) e avrà un piccolo contingente internazionale pronto a proteggerla nel caso di una tregua. Alle sue spalle l’Europa inizierà a riarmarsi, mentre la Francia parla già di condividere le armi atomiche con il resto d’Europa.

“Perché Meloni non agisce come Draghi?”

In questa fibrillazione generale, hanno dato nell’occhio le esitazioni dell’Italia. Il presidente francese Macron ieri ha messo il dito nella piaga: “Perché Meloni non agisce come agiva Draghi?
Rispondere è facile: perché Meloni è legata a una rete di alleanze interne (Salvini in primis) e internazionali (Trump, Musk, Orbán) che pretendono da lei l’opposto. Inoltre, Meloni deve conquistarsi il consenso elettorale in un ambiente mediatico, quello italiano, che per decenni ha assuefatto il suo pubblico a un compiaciuto scetticismo verso il valore della libertà, dello stato di diritto e soprattutto dell’uso della forza per difenderli. Il che è stato la premessa per l’inondazione di fake news, prima anti-europee e poi anti-ucraine, che ha travolto i “media tradizionali” non meno dei social media.  

Per l’opinione pubblica italiana, insomma, sarebbe indigeribile un intervento diretto contro la Russia e in difesa dell’Ucraina. Ma sarebbe anche problematico contrariare Trump, “l’uomo più potente del mondo”, per unirsi a una coalizione improvvisata di paesi verso i quali la retorica “sovranista” ha seminato astio per decenni.

L’opposizione non è di alcun aiuto: l’ultimo allucinante discorso di Elly Schlein, con quel “né col finto pacifismo di Trump né con l’Europa per continuare la guerra”, riusciva nell’ardua impresa di essere sia falso che autocontraddittorio. Perché la base del PD, in fondo, condivide lo stesso scetticismo del resto dell’Italia di fronte ai valori per cui l’Ucraina si sta battendo: semplicemente lo dissimula sotto sentimenti delicati e virtuosi, come il pacifismo, l’anti-nazionalismo, la paura di tagli alla spesa sociale o il raccapriccio per l’arricchimento delle “lobby delle armi”. Quando Romano Prodi afferma che l’Ucraina dovrebbe essere “uno stato-cuscinetto”, non percepisce nemmeno la violenza illiberale che è insita nelle sue parole.

La scelta da fare

Dunque i margini di manovra per Meloni sono stretti. Ma non sono inesistenti.
La scelta migliore che potrebbe fare, a mio avviso, è mettersi alla guida di un fianco sud dell’esercito europeo, per contrastare gli alleati minori di Putin nei Balcani e nel Nord Africa. 
Non apparirebbe come il preludio di una guerra mondiale, risponderebbe a innegabili interessi nazionali e toccherebbe corde emotive, quelle di Srebrenica e dei conflitti nella ex-Jugoslavia, che nella maggior parte degli italiani non sono state inquinate dal diluvio di bugie propagandistiche che invece ha investito l’Ucraina. 

In secondo luogo, Meloni può schierarsi subito in favore degli accordi di libero scambio con il Messico e con l’area Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay), dove l’Italia è l’ago della bilancia e ha moltissimo da guadagnare. Far entrare in vigore questi accordi attutirebbe i danni di eventuali dazi di Trump e mostrerebbe che gli europei, lungi dall’essere suoi vassalli minori, possono contendergli persino il cortile di casa.

Su questa linea “soft”, sia Forza Italia che Elly Schlein faticherebbero ad accampare obiezioni.  Il mondo ha gli occhi puntati su di noi: cerchiamo di non deluderlo.