Difesa, pace, Europa: Schlein è inadeguata a governare

Piercamillo Falasca
05/03/2025
Poteri

La politica internazionale è la cartina al tornasole delle leadership politiche. E proprio sulla politica internazionale la segretaria del PD Elly Schlein sta dimostrando la sua totale inadeguatezza, che rende a nostro parere sia lei che il suo PD inservibili come opzione di governo per l’Italia. La sua ultima sortita – un “no” duro al piano di difesa europea proposto dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen – ha certamente messo a disagio una parte del Partito democratico, a cominciare dai cosiddetti riformisti, ma non sorprende chi da tempo ha colto l’inconsistenza della linea politica dell’attuale leader del principale partito di opposizione.

Chi volesse prendersi la briga di cercare le dichiarazioni del passato di Schlein sulla difesa europea, la troverà sempre trincerata dietro i “sì, ma” e dietro una tesi particolarmente ipocrita: l’illusione, spacciata all’elettorato e utile alla propria impalcatura ideologica, che la difesa comune europea faccia risparmiare rispetto all’attuale spesa per la difesa nazionale.

E’ cosa ben diversa dal dire, come è possibile, che a parità di livello di spesa, la messa a sistema degli eserciti nazionali in un unico esercito europeo genera risparmi e maggiore efficienza. Ma è invece chiaro a quanti hanno superato la dimensione liceale della politica che l’Europa, in un modo o nell’altro, deve investire in modo molto più massiccio nella propria sicurezza. E lo deve fare oggi, perché la minaccia alla nostra libertà è davanti ai nostri occhi.

L’argomento insopportabile usato da Schlein è la contrapposizione tra “riarmo nazionale” e “difesa comune”. La segretaria del Pd ha alzato barricate aprioristiche e dimenticando tuttavia un dato di fatto: anche noi europeisti sfegatati sappiamo che la realizzazione di un esercito comune europeo è un traguardo di medio lungo periodo, un obiettivo che richiede una comune politica estera e di difesa – legittimata democraticamente – e una definizione della questione delle questioni, la condivisione della governance della deterrenza nucleare francese. Pretendere che questo processo possa nascere dall’oggi al domani è una semplificazione che finisce per fare il gioco di chi, come Giuseppe Conte o Matteo Salvini, è sfacciatamente schierato con un irresponsabile pacifismo di facciata, anti-patriottico e anti-europeo.

Qui si rivela la fragilità politica di Schlein e la sua inadeguatezza: invece di proporsi come leader responsabile e autorevole all’interno dell’Unione, in grado di negoziare con Bruxelles per rendere più efficaci e sostenibili gli investimenti nel settore della difesa, o magari per legarli a passi concreti sul fronte della governance comune della difesa, preferisce rincorrere Giuseppe Conte sul suo terreno, più interessata a difendere i confini del fu campo largo che dell’Europa. Anche le preoccupazioni sul rischio di usare fondi di coesione destinati alle politiche sociali appaiono puerili, nel quadro geopolitico che stiamo vivendo. Non ci vorrebbe molta fantasia, ad esempio, per valorizzare questa scelta chiedendo garanzie che queste risorse siano usate per favorire la riqualificazione verso l’industria della difesa dei lavoratori del settore automotive oggi sotto pressione per la pesante crisi del comparto. Ma per fare riflessioni di questo tipo, bisogna aver superato la dimensione onirica della politica liceale.



Oggi Mario Lavia su Linkiesta segnala un dato preoccupante: se davvero la posizione di Schlein coincidesse con quella della delegazione del Partito Democratico al Parlamento Europeo, la maggioranza di von der Leyen sarebbe già compromessa. I più pragmatici nel PD, come Lorenzo Guerini, hanno tentato di spostare il baricentro del dibattito sui possibili miglioramenti da fare alla proposta della Commissione, e per fortuna la delegazione dem nell’emiciclo di Strasburgo conta figure come Pina Picierno, Maria Elisabetta Gualmini, Irene Tinagli e Giorgio Gori che – al netto di sorprese – dovrebbe quanto meno assicurare che una parte dei voti a disposizione del PD sia a sostegno della Commissione. Ma il problema politico resta, grande come una casa ristrutturata col superbonus.

Bollare come “riarmo nazionale” un tentativo storico della Commissione Europea di cambiare il paradigma della costruzione europea, superando definitivamente la dimensione solo commerciale del processo di integrazione europea, significa per Schlein aver frequentato a vuoto le istituzioni europee. Peggio: significa trascinare il Pd e l’intero centrosinistra nella deriva anti-europea di quanti contestano Bruxelles per principio, e rischia di portare altra acqua al mulino dei sovranisti e dei filo-putiniani ormai infiltratisi nella politica italiana.

Quel che Schlein non vuol vedere, per tattica o per incapacità, è che la proposta della Commissione traccia un percorso dal quale non si tornerà facilmente indietro e che segnerà, funzionalmente, la nascita della difesa europea: la messa a disposizione di 150 miliardi di euro comunitari e l’apertura delle maglie per una spesa complessiva nei bilanci nazionali fino a 650 miliardi di euro non sarà lasciata alla mera discrezionalità dei governi nazionali, ma sarà inevitabilmente inquadrata in regole uniche per il procurement e per le modalità di acquisto, così come sarà una spinta potente all’aggregazione e alla sempre maggiore integrazione dell’industria europea della difesa. Fin dai tempi della CECA e dell’Euratom (a proposito, cosa pensa il PD del ritorno al nucleare?), l’Unione Europea è nata dalle cose concrete. Ed è tempo di tornare a quello spirito.