In Romania si sta difendendo la democrazia europea dalla mafia di Putin

La crisi politica in Romania ha sollevato interrogativi cruciali sulla difesa della democrazia di fronte a minacce interne ed esterne. Il caso di Călin Georgescu, candidato ultranazionalista e filorusso, rappresenta un esempio emblematico di come le istituzioni democratiche possano reagire a tali sfide.
Alle elezioni presidenziali del 24 novembre 2024, Georgescu ha ottenuto una sorprendente maggioranza al primo turno, nonostante i sondaggi lo stimassero al 5%. Questo risultato inatteso ha acceso i riflettori su possibili interferenze esterne, in particolare da parte della Russia. Le autorità romene hanno scoperto una massiccia campagna di disinformazione sui social media, orchestrata da influencer sostenuti da Mosca, con un ruolo centrale di TikTok. Oltre 25.000 account hanno diffuso contenuti a favore del candidato, accompagnati da finanziamenti sospetti e attacchi informatici alle infrastrutture elettorali.
Di fronte a queste evidenze, la Corte Costituzionale della Romania ha annullato all’unanimità il primo turno delle elezioni, ordinando una ripetizione del voto. Una decisione senza precedenti, motivata dalla necessità di garantire la legalità e la trasparenza del processo elettorale, proteggendo la sovranità nazionale da ingerenze straniere. Il 26 febbraio 2025, Georgescu è stato arrestato e interrogato dalla Procura Generale di Bucarest con l’accusa di promuovere un’organizzazione fascista, diffondere propaganda antisemita e ricevere finanziamenti illeciti. Le perquisizioni hanno rivelato ingenti somme di denaro e legami diretti con Mosca tra i componenti del suo entourage, alimentando ulteriormente i sospetti di un tentativo russo di destabilizzare la Romania attraverso le urne.
L’Europa sotto attacco: il piano di Putin per hackerare la democrazia
La crisi romena non è un caso isolato. Dalla Romania all’Italia, dalla Germania alla Francia, l’Europa è sotto attacco da parte del regime di Vladimir Putin, che utilizza le immense risorse dell’economia estrattiva russa per finanziare movimenti politici affini e diffondere una strategia capillare di disinformazione.
Putin non combatte solo con i carri armati e i missili, ma con fake news, corruzione e infiltrazioni nei sistemi democratici, sostenendo leader compiacenti. Il suo obiettivo non è solo indebolire l’Europa, ma insediare governi collaborazionisti, sul modello del regime di Vichy nella Francia occupata dai nazisti, o se vogliamo governi infiltrati dalle sue logiche mafiose. Non è un caso che in quasi ogni paese europeo vi siano partiti e movimenti che ripetono fedelmente la propaganda del Cremlino, chiedono la fine del sostegno all’Ucraina e diffondono narrazioni studiate per erodere la fiducia nella democrazia liberale.
Questo scenario solleva domande fondamentali: è democratico vietare la candidatura di un estremista antisemita finanziato da una potenza ostile? È democratico annullare elezioni manipolate da interferenze esterne? La risposta risiede in un principio essenziale: proteggere la democrazia significa anche difenderla da chi cerca di distruggerla dall’interno.

Karl Popper, nel suo paradosso della tolleranza, affermava che una società autenticamente tollerante non può permettersi di tollerare l’intolleranza, pena la propria autodistruzione. Se si concede a movimenti suprematisti e antidemocratici di sfruttare le libertà democratiche per accedere al potere, questi useranno quello stesso potere per cancellare la democrazia. Popper non invocava la censura di opinioni scomode, ma sottolineava l’urgenza di porre un limite quando le idee intolleranti minacciano la convivenza civile e i diritti fondamentali.
Allo stesso modo, non si può rimanere inermi di fronte a chi tenta di hackerare la democrazia. Un leader che fomenta l’odio etnico, riceve finanziamenti da una potenza ostile e sfrutta la libertà di espressione per minare la stessa libertà, rappresenta una minaccia esistenziale. In questo contesto, vietarne la candidatura e ripetere le elezioni non è un atto di repressione, ma un meccanismo di autodifesa. La democrazia non è solo un processo elettorale: è un sistema di valori che devono essere tutelati.
La lezione per l’Europa
Il caso romeno è un monito per l’intero continente. La Russia e altri attori ostili sfruttano le fragilità delle società aperte per destabilizzarle dall’interno. La strategia non è più quella di un’invasione militare, ma di un’infiltrazione ideologica e cibernetica, volta a minare la fiducia nelle istituzioni e fomentare divisioni.
I leader europei devono trarre insegnamento da questo episodio e rafforzare i meccanismi di protezione democratica, senza lasciarsi intimidire dalle accuse di “autoritarismo” mosse da chi vuole approfittare della loro debolezza.
La democrazia è tolleranza, ma non suicidio. Difenderla significa essere pronti a combattere con le armi della legge, della trasparenza e della verità. Oggi più che mai, il destino dell’Europa dipende dalla sua capacità di riconoscere e respingere le minacce che si annidano tra le maglie del suo stesso pluralismo.