Vienna insegna: parlare di compromesso non è una parolaccia

Christian Furtschegger
12/03/2025
Orizzonti

Fa ancora notizia che, con il crollo dei consensi ai partiti moderati, l’onda del populismo – alimentata dall’uso distorto della libertà di parola sui social – abbia investito anche l’Austria, come accaduto alle elezioni del settembre 2024? No, non fa più notizia. Ci siamo abituati alla disgregazione di certezze che sembravano granitiche, salvo poi scoprire che il nostro benessere, con tanto di welfare state, poggiava su sabbie mobili. Per decenni ci siamo adagiati sotto l’ombrello militare degli Stati Uniti, quello energetico russo e quello commerciale cinese. Ora, con le loro strategie neo-imperialiste, questi tre pilastri sono in aperto contrasto con l’Occidente.

Fa invece notizia la difficoltà – o la tenacia – nel formare un nuovo governo a Vienna, insediatosi dopo 137 giorni di stallo, più del doppio rispetto ai 65 giorni consueti. In Austria, i tre partiti moderati – conservatori, socialdemocratici e liberali – hanno lottato fino all’ultimo per evitare nuove elezioni, dopo il clamoroso fallimento dell’estrema destra. Nonostante il 28% dei voti e l’offerta del cancellierato da parte dei conservatori, l’estrema destra ha visto sfumare il suo obiettivo per l’intransigenza su posizioni inconciliabili con i valori transatlantici ed europei. Un traguardo che il loro storico leader Jörg Haider aveva inseguito, precorrendo i populisti europei di oggi.

L’esito del voto ha confermato una verità cruciale: in Austria e Germania, la fiducia nelle forze estremiste non ha mai scalfito la maggioranza moderata. È per questo che si è tentato fino all’ultimo di formare un governo in extremis. Come in Italia, dove il Presidente della Repubblica garantisce l’equilibrio istituzionale, anche il Presidente austriaco ha richiamato le forze moderate alla responsabilità, restituendo dignità alla parola “compromesso”. Un termine spesso svilito dai populisti, ma oggi riscoperto come garanzia di stabilità in tempi di crisi.

A fare notizia, dunque, non è più il caos politico, ma la calma degli attori istituzionali. Dopo settimane di speculazioni su un governo radicale, l’Austria si è ritrovata, nel giro di poco, non con un cancelliere di estrema destra, ma con una coalizione moderata a tre partiti, la prima dal 1947. Invece di cedere alla tentazione di nuove elezioni – auspicata dagli estremisti, vincenti alle urne ma inesperti nella gestione del potere – i tre partiti hanno siglato un dettagliato accordo di coalizione di oltre 200 pagine, accogliendo l’invito del Presidente a un uso oculato delle parole. A partire proprio da quella fondamentale: “compromesso”. Senza di esso, né in famiglia né in società si può costruire nulla, figurarsi nella gestione dello Stato.

Ma la vera notizia è che, all’indomani dell’accordo, il nuovo Cancelliere, il Vicecancelliere e la Ministra degli Esteri hanno dato una dimostrazione concreta di cosa significhi governare con responsabilità. A sole 24 ore dal giuramento, si sono presentati insieme in una trasmissione della televisione pubblica, rispondendo con garbo e pazienza alle domande di due tra i più temuti giornalisti del Paese. Se le forze moderate riescono ancora a formare governi e a sottoporsi con trasparenza al giudizio dell’opinione pubblica, viene da chiedersi se lo stato di salute delle nostre democrazie non si misuri proprio dalla capacità dell’esecutivo di confrontarsi apertamente con la stampa, anziché rifugiarsi nella propaganda sui social.

Forse, un giorno, anche in Italia finirà lo spettacolo indecoroso di giornalisti costretti a inseguire per strada ministri e sottosegretari per una dichiarazione, mentre questi si trincerano dietro il mantra del “Prenda appuntamento via email con il mio staff“, senza che l’agognato confronto avvenga mai. Dimmi come tratti la stampa e ti dirò che idea di democrazia o di democratura hai.

Certo, il margine di manovra di questi governi, oggi a Vienna e presto a Berlino, è ristretto. Per alcuni si tratta di un fragile equilibrio da preservare, per altri di un inevitabile cambio di paradigma. Il rischio è chiaro: se questi esperimenti moderati falliscono, il potere potrebbe finire nelle mani di forze ultrapopuliste.

Forse è per questo che, accanto alla volontà di rilanciare il concetto di compromesso, si avverte un senso diffuso di urgenza, quasi di timore. Il tempo per agire è limitato, sia di fronte alle sfide interne che a quelle esterne. Tuttavia, non esistono alternative credibili: nuove elezioni significherebbero instabilità cronica, come dimostra il caso di Israele, dove la paralisi politica sembra mascherata solo da un conflitto che colpisce in modo indiscriminato i civili. Le forze moderate lo sanno bene: devono giocare questa ultima carta prima che il sistema crolli definitivamente, trasformandosi in un gioco d’azzardo dagli esiti imprevedibili.

In Germania, questa consapevolezza è palpabile sia nel cancelliere in pectore, Friedrich Merz, sia nel leader socialdemocratico Lars Klingbeil, ormai relegato a un ruolo subordinato dopo il tracollo elettorale del suo partito. Pur contrari a un nuovo esperimento di Große Koalition, entrambi sembrano rassegnati all’inevitabile. Memori del lungo immobilismo della Germania sotto Angela Merkel, sanno che la grande coalizione è una soluzione di ripiego, non una scelta politica ambiziosa.

Eppure, le loro dichiarazioni lasciano trasparire una verità scomoda: non è la volontà di valorizzare il compromesso a guidare questa decisione, ma la pressione esercitata dall’estrema destra, che in alcuni ambienti flirta con posizioni di ispirazione neonazista. Non si tratta di una scelta strategica ponderata, ma di una mossa difensiva.

Berlino dovrà imparare che compromesso e trasparenza non sono segni di debolezza, ma strumenti essenziali per evitare la frammentazione politica. Le ferite della fallimentare coalizione “semaforo” tra Verdi, Socialdemocratici e Liberali sono ancora aperte, eppure il tempo delle maggioranze monolitiche è finito. Oggi, 17 dei 27 Stati membri dell’Unione Europea sono governati da coalizioni multipartitiche: non più un’eccezione, ma la regola.

L’Austria dimostra che le coalizioni possono funzionare anche oltre il tradizionale duopolio conservatori-socialdemocratici. L’inclusione dei liberali dei Neos, pur non strettamente necessaria, ha arricchito il dibattito politico e rafforzato la legittimità dell’esecutivo. Più che numeri in Parlamento, il vero valore aggiunto è la riscoperta della cultura del compromesso.

In un’epoca segnata dal trumpismo, dove la politica sembra ridursi a slogan e polarizzazione, questo ritorno alla sintesi dialettica non è solo una necessità, ma un principio ereditato dalla democrazia ateniese. E, proprio qui, in un’Europa dalla memoria millenaria, dovremmo evitare di rinnegarlo con troppa leggerezza.