Sumy, bombardare una parata militare è comunque un crimine di guerra

Redazione
15/04/2025
Poteri

Il 13 aprile 2025, un attacco missilistico russo ha colpito il centro della città ucraina di Sumy, causando la morte di almeno 34 persone, tra cui due bambini, e il ferimento di oltre cento civili. Secondo le autorità russe, l’obiettivo era un “raduno di ufficiali dell’esercito ucraino”. Secondo le autorità ucraine e numerose fonti indipendenti, si trattava di una cerimonia militare non operativa che si svolgeva in uno spazio pubblico cittadino, nel contesto delle celebrazioni della Domenica delle Palme.

E’ sufficiente sostenere, come fa il Cremlino e come ripetono diversi suoi pupazzi in Occidente, che a Sumy sono stati colpiti dei militari per giustificare l’attacco? Assolutamente no, alla luce dei fatti e alla luce del diritto internazionale umanitario (DIU), tale attacco configura comunque un crimine di guerra.

Vediamo perché.

Il quadro giuridico di riferimento

Il diritto internazionale umanitario, articolato principalmente nelle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e nei Protocolli aggiuntivi del 1977, impone limiti chiari alla condotta delle ostilità. In particolare, ogni attacco armato deve rispettare tre principi fondamentali:

  1. Principio di distinzione
    Le Parti in conflitto devono distinguere tra combattenti e civili (art. 48, Primo Protocollo addizionale) e tra obiettivi militari e beni di carattere civile. Gli attacchi possono essere diretti solo contro obiettivi militari.
    Se un raduno militare – come una parata commemorativa – non è direttamente coinvolto in operazioni belliche attive, esso non costituisce un obiettivo militare legittimo. La mera presenza di militari in uniforme non è sufficiente a legittimare l’uso della forza letale, soprattutto se avviene in un contesto cerimoniale e in un’area urbana densamente popolata.
  2. Principio di proporzionalità
    Anche qualora l’obiettivo fosse considerato legittimo, l’attacco è vietato se è prevedibile che provochi danni collaterali eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto atteso (art. 51.5.b, Primo Protocollo).
    A Sumy, l’impatto dell’attacco ha causato un numero elevatissimo di vittime civili, tra cui minorenni. L’eventuale eliminazione di alcuni ufficiali ucraini non può in alcun modo giustificare un tale bilancio. In assenza di una minaccia militare immediata e concreta, l’attacco risulta sproporzionato.
  3. Principio di precauzione
    Le Parti devono prendere tutte le precauzioni possibili per evitare o ridurre al minimo le perdite civili (art. 57, Primo Protocollo). Lanciare due missili balistici su una piazza cittadina in pieno giorno, durante una cerimonia pubblica, è incompatibile con qualsiasi sforzo di riduzione del danno collaterale.

Un raduno militare non è un obiettivo militare

Va chiarito un punto frainteso: non ogni presenza militare costituisce automaticamente un obiettivo legittimo. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha chiarito che un “obiettivo militare” è tale solo se concorre effettivamente all’azione militare dell’avversario, e la sua distruzione offre un vantaggio militare concreto e immediato.

Nel caso di Sumy, non vi è alcuna evidenza che il raduno fosse destinato a pianificare o dirigere operazioni offensive. Non erano presenti armamenti, mezzi tattici o postazioni operative. La componente commemorativa e simbolica prevaleva nettamente. In questo contesto, l’attacco può qualificarsi come un attacco diretto contro civili, o quanto meno contro una concentrazione di persone non coinvolte direttamente nelle ostilità, in violazione dell’art. 51.2 del Primo Protocollo.

Crimine di guerra: il fondamento giuridico

La Corte Penale Internazionale, all’articolo 8 dello Statuto di Roma, definisce come crimini di guerra gli “attacchi intenzionali contro la popolazione civile o contro singole persone civili non partecipanti direttamente alle ostilità” (art. 8(2)(b)(i)), così come gli “attacchi sproporzionati” (art. 8(2)(b)(iv)).

L’attacco a Sumy non aveva un obiettivo militare immediato e legittimo, è stato compiuto con consapevolezza della presenza di civili e ha causato vittime civili in misura sproporzionata rispetto al vantaggio militare atteso: vi sono gli elementi costitutivi per qualificarlo come crimine di guerra, perseguibile davanti alla CPI o da altri tribunali competenti.


Nota del direttore

Segnalare con fermezza le violazioni del diritto internazionale umanitario non nasce da ingenuità. Non nutriamo alcuna illusione che Vladimir Putin possa essere scosso da un’analisi giuridica o dalla condanna dell’opinione pubblica internazionale. Il nostro intento non è certo “impressionare” il Cremlino, ma di tenere saldo un principio: che l’umanità ha ormai da tempo raggiunto la maturità morale e giuridica per stabilire con chiarezza che cosa è un crimine di guerra e cosa non lo è. Il diritto, in quanto tale, vive anche nella parola che nomina le violazioni, nella documentazione accurata, nella memoria che si oppone all’oblio. Riconoscere e denunciare questi crimini non è un esercizio retorico: è un atto necessario per preparare il terreno alla giustizia, per il giorno in cui – e quel giorno verrà – la guerra sarà finita, e sarà compito della comunità internazionale perseguire penalmente i responsabili del regime russo e il suo dittatore, affinché la storia non si ripeta e il diritto non venga piegato alla forza. – Piercamillo Falasca