Cosa accade tra India e Pakistan? Vi spieghiamo la rivalità più pericolosa d’Asia

Sofia Fornari
28/04/2025
Frontiere

L’attacco terroristico del 22 aprile 2025 a Pahalgam, nel Kashmir indiano, ha riacceso la rivalità più esplosiva dell’Asia. Ventisei turisti uccisi a sangue freddo; un settore che, con 3,5 milioni di visitatori nel 2024, simboleggiava la “normalizzazione” del Kashmir è crollato in una notte. New Delhi accusa Islamabad di complicità con i militanti; confini chiusi, trattati sospesi, minacce di ritorsioni. Due potenze nucleari tornano a fronteggiarsi con un rischio concreto di escalation militare.

La risposta indiana è stata immediata: sospensione del Trattato sulle acque dell’Indo, chiusura del principale valico di frontiera, espulsione di diplomatici pakistani, revoca dei visti. Islamabad ha reagito chiudendo lo spazio aereo ai voli indiani, bloccando il commercio bilaterale e avvertendo che ogni ostacolo al flusso delle acque sarà considerato un atto di guerra.

Sulla Linea di Controllo, il fragile confine che divide il Kashmir, sono ripresi gli scontri armati, finora senza vittime confermate. Il clima è rovente, alimentato da una retorica nazionalista sempre più aggressiva su entrambi i fronti. La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione, ma i margini di intervento si riducono: né Nuova Delhi né Islamabad vogliono mostrarsi deboli, soprattutto in un anno elettorale.

Il Kashmir: una ferita mai chiusa

Conteso fin dalla partizione dell’India britannica nel 1947, il Kashmir è il prodotto di una divisione caotica orchestrata da un impero in ritirata. Dopo l’invasione di milizie sostenute dal Pakistan, il maharaja Hari Singh aderì all’India, scatenando la prima guerra indo-pakistana (1947-48). La Linea di Controllo, mai formalizzata come confine, resta una cicatrice aperta.

Settantacinque anni dopo, il conflitto non è sopito. India e Pakistan hanno combattuto altre tre guerre (1965, 1971 e 1999), e il ricordo del 1971 – pur non centrato sul Kashmir – alimenta ancora a Islamabad il timore di nuovi ridisegni territoriali.

La rivolta esplosa nel Kashmir indiano alla fine degli anni ’80 ha ulteriormente inasprito il conflitto: Nuova Delhi accusa Islamabad di sostenere i separatisti, mentre il Pakistan si presenta come difensore della popolazione musulmana locale. La revoca, nel 2019, dello status speciale del Jammu e Kashmir da parte del governo Modi ha acceso nuove proteste e rafforzato le accuse pakistane di “colonizzazione” della regione.

Sul piano umano, il Kashmir ha subito ben oltre 500 giorni consecutivi di blackout Internet, il più lungo mai registrato in una democrazia. Secondo l’IDMC, oltre 80.000 sfollati interni rimangono ancora senza un ritorno stabile. Dopo Pahalgam, la cancellazione delle prenotazioni turistiche e l’impennata della disoccupazione giovanile rischiano di alimentare una nuova ondata di rabbia sociale.



Un triangolo geopolitico ad alta tensione

L’India si allinea sempre più al blocco occidentale, rafforzando il Quad con Stati Uniti, Giappone e Australia per contenere l’espansione cinese. Il Pakistan, invece, si stringe ancora di più alla Cina, che considera il Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC) cruciale per la Belt and Road Initiative e mantiene truppe nell’Aksai Chin.

Nucleare: dottrine opposte, rischi reali

Gli arsenali nucleari, sviluppati negli anni ’90, riducono il rischio di una guerra totale, ma non eliminano la possibilità di scontri localizzati. Qui contano le dottrine. L’India mantiene formalmente il principio del No First Use, ma dal 2019 ha lasciato intendere possibili eccezioni “se le circostanze lo richiederanno”. Il Pakistan adotta la Full-Spectrum Deterrence, prevedendo l’uso di armi tattiche a corto raggio contro eventuali incursioni convenzionali.

Insomma, per Nuova Delhi l’atomica è l’ultimo argomento da usare, per Islamabad può diventare la prima mossa sul tavolo. Questa asimmetria abbassa la soglia di allarme: un raid “limitato” oltre la Linea di Controllo potrebbe spingere Islamabad a considerare l’uso di armi nucleari tattiche.

L’acqua: la nuova linea rossa

Il fiume Indo, vitale per l’agricoltura pakistana, torna al centro delle tensioni. Il Trattato del 1960 è sopravvissuto a tre guerre, ma la sua sospensione ha già fatto impennare i prezzi del grano a Karachi e alimentato il panico per una possibile emergenza idrica. Per Islamabad, l’acqua non è negoziabile.

Diplomazia congelata e guerra dell’informazione

I canali diplomatici segreti che tra il 2004 e il 2007 portarono vicini a un accordo sul Kashmir si sono prosciugati. Nel 2023, la ministra pakistana Hina Rabbani Khar ha ammesso che «non esiste alcuna diplomazia riservata in corso con l’India».

Intanto, la guerra dell’informazione infuria: bot-farm e campagne di disinformazione su X e WhatsApp alimentano fake news e odio. Studi sugli eventi successivi a Balakot nel 2019 mostrano un uso sistematico dei social per polarizzare l’opinione pubblica.

Il rischio di una guerra limitata

La deterrenza nucleare e la pressione internazionale – Stati Uniti, Cina, Arabia Saudita – rendono improbabile una guerra su larga scala. Ma il rischio di guerra a bassa intensità resta elevato: scontri alla LoC, sabotaggi di infrastrutture, ondate di terrorismo e attacchi cyber.

Gli analisti temono che, entro 72 ore da un nuovo incidente, l’India possa lanciare raid aerei o operazioni di forze speciali. Segnali premonitori sarebbero un’intensificazione delle sortite dell’aeronautica e dichiarazioni ufficiali di “strike mirati”. Se la crisi si prolunga, si entrerebbe in una fase di guerra d’artiglieria lungo la LoC, con il numero di violazioni del cessate-il-fuoco come barometro dell’escalation.

Tra la seconda e la quarta settimana, la variabile diplomatica diventerà cruciale: il ripristino di una hotline militare o un incontro sotto l’egida dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai segnalerebbero una de-escalation; l’assenza di iniziative diplomatiche, invece, annuncerebbe un inasprimento. Se la crisi supererà il mese senza accordi sulla sicurezza – e in particolare se l’India limiterà la condivisione dei dati sull’Indo – il Pakistan rischierà una grave emergenza idrica in 1-3 mesi, visibile dal calo del bacino di Tarbela e dall’esplosione dei prezzi dei cereali a Lahore.

Le leve per dissinnescare la crisi

Un conflitto nucleare totale rimane improbabile. Ma l’assenza di canali di crisi, le dottrine nucleari divergenti e la politicizzazione dell’acqua creano un ambiente in cui un singolo incidente può far precipitare la situazione.

Tre leve possono disinnescare la crisi: la pressione congiunta di Washington, Pechino e Riyad per ristabilire una hotline permanente, il ripristino dei canali segreti tra consiglieri per la sicurezza e capi d’intelligence; un accordo tecnico sull’Indo che separi l’acqua dalla disputa territoriale.

Finché questi strumenti resteranno inattivi, il Kashmir continuerà a essere il punto più caldo dell’Asia meridionale – e la rivalità indo-pakistana, la più pericolosa del pianeta.