Dalla Seconda lettera di Mario agli europei

Piercamillo Falasca
25/12/2024
Orizzonti


Un manifesto per l’Europa futura
In occasione del terzo Simposio di Parigi, Mario Draghi ha pronunciato un discorso che – se non fossimo sempre più distratti dai latrati di un dibattito pubblico isterico – sarebbe destinato a entrare nella storia come un nuovo whatever it takes per l’Europa. Se nel 2012 quelle parole furono pronunciate per salvare l’euro in un momento critico, oggi Draghi lancia un appello altrettanto decisivo, rivolto non più solo alla stabilità monetaria, ma alla competitività economica e alla sopravvivenza del modello sociale europeo. Non ha ruolo, né potere, ma più che nel 2012 oggi Super Mario ha oggi il senso della Storia. Il suo intervento rappresenta una vera e propria chiamata all’azione.

Chi la saprà raccogliere? Voce che grida nel deserto o seme che germoglierà?

L’Europa che si è persa per strada

Nel discorso, che riportiamo nel file allegato qui in calce all’articolo, l’ex presidente della Banca Centrale Europea traccia una diagnosi severa e lucida della situazione economica europea. Nel dopoguerra, la produttività del lavoro europea passò dal 22% del livello statunitense del 1945 al 95% del 1995. Una cavalcata impetuosa, che si è poi arrestata. Due grandi scossoni hanno segnato la stagnazione della produttività del continente (ovviamente, con differenze tra i Paesi e nei Paesi): il boom tecnologico legato all’avvento di internet, che ha visto l’Europa arrancare rispetto agli Stati Uniti, e le crisi finanziarie che hanno colpito l’Eurozona.

Dal 1995 in poi, infatti, il divario di produttività tra Europa e Stati Uniti si è drammaticamente ampliato, principalmente a causa della più rapida crescita del settore tecnologico negli USA e dei disastri della crisi finanziaria globale e della crisi del debito sovrano, che hanno indotto un cambio di rotta nelle politiche economiche europee: da un modello basato sulla domanda interna, si è passati a uno fondato su surplus commerciali e investimenti esterni. Come sottolinea Draghi, ciò ha portato l’Europa a diventare un esportatore strutturale di capitale, sacrificando crescita e innovazione domestica.

Le scelte politiche che hanno aggravato il declino

Secondo l’ex premier italiano, gran parte delle difficoltà attuali derivano da scelte politiche deliberate, più che da circostanze inevitabili. “Le politiche europee hanno tollerato una crescita salariale bassa come mezzo per accrescere la competitività esterna”, ha spiegato a Parigi, sottolineando come questa scelta abbia ulteriormente indebolito il ciclo reddito-consumo. Dal 2008, la crescita salariale reale negli Stati Uniti è stata quasi quattro volte superiore a quella europea.

Un altro errore strategico è stato il mancato completamento del mercato unico. L’ex inquilino dell’EuroTower ha evidenziato che le barriere interne all’Unione Europea equivalgono a dazi impliciti del 45% per il settore manifatturiero e del 110% per i servizi. Questo ostacola non solo il commercio interno, ma anche la capacità di attrarre investimenti e creare economie di scala. In confronto, le barriere interne negli Stati Uniti sono tre volte inferiori. “Se queste barriere fossero ridotte ai livelli americani, la produttività del lavoro in Europa potrebbe crescere del 7% in soli sette anni”, afferma Draghi, citando stime dell’FMI.

Un nuovo paradigma per la crescita europea

La visione di Mario per il futuro dell’Europa è ambiziosa ma chiara. Il declino non è un destino confortevole, se non per i privilegiati, ma per fortuna non è inevitabile: è necessario abbandonare il modello attuale, basato su salari bassi e investimenti esterni, e puntare su una domanda interna forte. Questo richiede, prima di tutto, un sistema finanziario capace di sostenere l’innovazione e la crescita delle imprese. Il sistema bancario europeo non è adeguato a finanziare le giovani imprese tecnologiche, che spesso presentano flussi di cassa volatili e collaterale intangibile.

Inoltre, pesa il ritardo dell’Europa nel capitale di rischio: “La quota europea dei fondi globali di venture capital è solo del 5%, contro il 52% degli Stati Uniti”, dice ancora. Per colmare questo divario, è necessario creare un ambiente favorevole all’innovazione e adottare un regime fiscale che favorisca l’equità rispetto al debito.

Il ruolo della politica fiscale e delle riforme strutturali

Nel suo intervento, Draghi dedica molta enfasi alla questione cruciale delle politiche fiscali. L’emissione di debito comune europeo è lo strumento per creare spazio fiscale e sostenere gli investimenti strategici. “Se l’UE emettesse un asset sicuro comune, il costo di finanziamento sarebbe inferiore ai tassi di crescita, consentendo di emettere debito aggiuntivo fino al 15% del PIL senza gravare sui bilanci nazionali”, ha spiegato, avvertendo pero che questa soluzione funzionerebbe solo se accompagnata da riforme strutturali capaci di aumentare il potenziale di crescita dell’Europa.

Quali riforme? Il completamento del mercato unico, anzitutto, l’integrazione dei mercati dei capitali e un maggiore coordinamento delle politiche fiscali tra gli Stati membri. Il mero aumento della spesa pubblica non basta: “La composizione della spesa deve cambiare – sostiene Draghi – puntando sull’aumento degli investimenti pubblici e sulla loro efficacia”.

Una sfida esistenziale per l’Europa

La conclusione del discorso dell’ex presidente BCE è un avvertimento dai toni drammatici: “Non abbiamo un diritto immutabile a mantenere il nostro modello sociale e i nostri valori. Dovremo lottare per preservarli”, ha concluso, sottolineando che la posta in gioco è niente meno che la capacità dell’Europa di rimanere inclusiva, sicura, indipendente e sostenibile. Insomma, è a rischio lo stesso modello sociale di cui tanto siamo orgogliosi.

Insomma, il tempo per agire è adesso: abbiamo le risorse e abbiamo il talento per sfuggire a un destino a tinte fosche. Ma c’è chi leggerà, capirà e deciderà di far sua questa seconda lettera di Mario agli europei?


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