Europa nazione, la sfida dell’Islam e l’identità di noi ateniesi: il nostro dialogo con Gianfranco Fini

Quando abbiamo invitato Gianfranco Fini a intervenire alla nostra conferenza “Europa Subito”, sapevamo che non sarebbe stato un incontro qualsiasi. Non solo per il rilievo politico dell’ospite, ma per la capacità – oggi rara – di collegare memoria istituzionale, lucidità culturale e profondità di prospettiva. Così è stato. Più che una semplice intervista, Fini ci ha offerto una lezione sul destino di quella che – per usare le sue parole – “un tempo definivamo Europa nazione”.
La ricerca di una identità europea, dalla Convenzione a oggi
L’ex presidente della Camera è tornato su un punto che da anni lo accompagna: l’identità culturale dell’Europa come fondamento politico irrinunciabile. E lo ha fatto senza ambiguità, ricordando l’impegno nell’ambito della Convenzione Europea – a cui fu chiamato in rappresentanza del governo italiano – per includere un riferimento alle radici giudaico-cristiane nel preambolo di quella che sarebbe dovuta essere la Costituzione europea.

“Quello alle radici giudaico-cristiane non era un riferimento confessionale – ha commentato Fini – ma culturale. Da laico, dico che l’Europa delle cattedrali e delle sinagoghe è la nostra storia”.
Una storia che oggi, ha osservato, è sovente assente nei percorsi di integrazione degli immigrati nelle nostre società, e ancora di più nell’esperienza di vita delle seconde generazioni degli islamici in Europa: un vuoto e una solitudine che troppo spesso, nelle periferie delle metropoli continentali, lascia spazio a derive identitarie alternative, quando non radicali.
“Il musulmano ha la umma – ci ha ricordato Fini – che è la comunità dei fedeli”, un insieme totalizzante di valori e regole morali che impone all’individuo una identificazione assoluta del quotidiano con il religioso. “L’europeo legge persino nel Vangelo che a Cesare va dato quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, il musulmano impara che oltre il Libro non c’è nulla”. E, dunque, il grande rischio si annida nell’interpretazione delle scritture, che può essere più o meno radicale, più o meno strumentalizzata.
Civismo, istruzione, cittadinanza: serve un’Europa “ateniese”
E qual è l’identità che noi europei possiamo offrire a chi prova con buona volontà di integrarsi nella nostra società? Il senso dello Stato, la Repubblica e la Costituzione, sostiene Fini, rivendicando la portata identitaria di quella “religione laica” che rende forti le democrazie occidentali. Mentre il fondatore di Alleanza Nazionale parla, mi tornano alla mente i rischi di indebolimento e appannamento dello Stato di diritto che minacciano la nostra società, il disprezzo retorico per la separazione dei poteri urlato dai populisti, il disinteresse ostentato da Donald Trump per il diritto internazionale e l’ordine sovranazionale. E se fosse proprio lo Stato di Diritto – il primato della legge sulla discrezionalità dei potenti – la cifra della nostra identità di europei? “Noi ad Atene facciamo così”, per dirla con Pericle.
Nell’Atene contemporanea, che è l’Europa, dobbiamo forse recuperare la sacralità delle istituzioni. “Sono stato tra i primi a destra a porre il tema della cittadinanza per gli immigrati, ma questa non deve ridursi a un fatto burocratico”, dice Fini. Per riscoprire la fierezza della partecipazione civica, il dovere e la responsabilità connesse al diritto di cittadinanza, l’ex presidente della Camera propone di introdurre cerimonie civiche per la cittadinanza, corsi di educazione europea, il rilancio dell’istruzione pubblica come strumento di coesione sociale. Più cultura repubblicana insomma, non retorica.

La Convenzione e la Costituzione europea mancata
Nel corso dell’intervista, Gianfranco Fini ha dedicato ampio spazio alla sua esperienza nella Convenzione sul futuro dell’Europa, il grande laboratorio istituzionale dei primi anni Duemila che puntava a dotare l’Unione Europea di una vera Costituzione politica. L’obiettivo era ambizioso: superare l’architettura fragile dei trattati esistenti e dare all’Europa una voce unica in politica estera, una cittadinanza comune più riconoscibile, e una struttura più democratica ed efficace. “Fu un progetto visionario, frutto di compromessi, ma anche di grande coraggio politico”.
Il testo finale prevedeva, tra le altre cose, l’istituzione di un ministro degli Affari Esteri europeo, il superamento della regola dell’unanimità in diversi ambiti chiave.
Dopo la firma a Roma nel 2004, la Costituzione venne però bocciata nei referendum popolari in Francia e nei Paesi Bassi, affondando di fatto il progetto. Tuttavia, segnala Fini, molte sue intuizioni sono state recuperate nel Trattato di Lisbona, come l’Alto rappresentante per la politica estera e la personalità giuridica unica dell’UE. Insomma, l’enorme lavoro, la forza simbolica e il valore identitario di quel testo non sono andati perduti, ma hanno anzi germogliato. Oggi la regola dell’unanimità resta una zavorra per l’Europa politica, ma da quella stagione vi è ormai una piena e incontrovertibile consapevolezza che dal suo superamento dipende il futuro della costruzione europea. “Le idee giuste non muoiono. A volte tornano con altri nomi, in altri contesti. Ma tornano“.
Riarmo sì, ma prima di tutto morale
La frase che ha segnato l’intervento è arrivata sul finale. Fini, rispondendo a una domanda sul riarmo europeo, ha precisato: “Sì, occorre rafforzare la difesa comune. Ma prima ancora che un riarmo materiale, serve un riarmo morale: dignità, consapevolezza, volontà di difendere ciò che siamo”. Parole pronunciate con fermezza, che hanno richiamato un lungo applaudo spontaneo. La denuncia è a quel certo pacifismo italiano che – ha detto – “assomiglia più alla resa che alla pace”.
Una lezione di politica, e di futuro
Oggi lontano dai riflettori della politica attiva, Fini ha dimostrato di avere molto da dire. Il suo è stato un discorso politico nel senso più alto, una riflessione su cosa significhi essere europei oggi e su cosa rischiamo di perdere se smettiamo di crederci.
“L’Europa è il miglior progetto politico della modernità. E merita di essere difesa: con le idee, con la memoria, con la voce”.