Fallimento Northvolt: all’Europa non serve autarchia, ma strategia da potenza

Daniele Venanzi
09/12/2024
Interessi

Mercoledì scorso Luca Angelini, dalle pagine del Corriere della Sera, poneva ai lettori un quesito retorico in tema di automobili: “e se il motivo del crollo delle vendite fosse semplicemente perché costano troppo?”

Sarebbe fin troppo comodo cadere nella demagogica tentazione di addurre le ragioni di prezzi così impopolari alla presunta avidità delle case automobilistiche. In realtà, come spesso accade nei casi in cui domanda e offerta proprio non riescono più a incontrarsi, dietro a prezzi da capogiro persino per delle umili utilitarie si celano un quadro normativo e delle regolamentazioni fortemente penalizzanti per l’intero settore. Si tratta di un autogol europeo dalle molte sfaccettature: su tutte, la mancata comprensione del fatto che la sostenibilità economica è la precondizione inderogabile della sostenibilità ambientale, senza il cui connubio non si rende alcun servizio né al pianeta, né al tessuto economico.

La crociata contro il motore endotermico

Nella fattispecie, la crociata comunitaria contro il motore endotermico – combattuta a colpi di dazi ai veicoli elettrici cinesi (demonizzazione del diesel e blocco delle immatricolazioni dal 2035) – viene condotta in un quadro geopolitico che, al contrario, suggerirebbe caldamente di seppellire l’ascia di guerra commerciale e tracciare nuove strade maestre per il futuro dell’automotive europeo. Queste strade non possono non passare dalla cooperazione con potenze e aree del pianeta predominanti nella catena di approvvigionamento di materie prime critiche e componenti irrinunciabili.

Di fatti, l’ambizione autocratica, che tanto risibile ci appare quando avanzata da alcune forze politiche a livello nazionale, non risulta più plausibile quando propugnata su scala continentale.

Non a caso, in siffatto scenario di interdipendenza globale tra potenze estremamente lontane, tanto sul piano geografico che su quello politico, l’utopia dell’autosufficienza produce sistematicamente tonfi fragorosi come quello della svedese Northvolt, prima azienda europea produttrice di batterie al litio per veicoli elettrici.

Il fallimento di Northvolt

Raffigurata come un “unicorno” dal gergo e dallo storytelling di media alla ricerca di storie di giovani imprenditori di successo nei settori green e tech, il 21 novembre Northvolt ha dichiarato bancarotta negli Stati Uniti. Eppure, sul suo destino segnato sin dalla fondazione nel 2015 da parte di due dirigenti fuoriusciti da Tesla, risuonano oggi limpide le parole di molti professionisti del settore che da tempo ammonivano che “è irragionevole aspettarsi che la prima azienda pioniera nella produzione ‘sovrana’ di batterie in Europa abbia successo”.

Con un debito di circa 13 miliardi, nel 2023 l’utile netto dell’azienda ha segnato -1,167 miliardi di dollari: una cifra incredibilmente vicina al miliardo di euro che Northvolt ha ricevuto appena lo scorso gennaio dalla Banca Europea per gli Investimenti, che ha definito il pacchetto “parte di un progetto di finanziamenti pro-soluto da 5 miliardi di dollari” e che rappresenta a oggi “la più grande operazione di debito per il green deal europeo”.

A questi, sono da aggiungere altri finanziamenti pubblici europei di cui l’azienda ha beneficiato nel corso degli anni. Tuttavia, Northvolt ha disatteso ogni aspettativa, producendo output quantitativamente scarsi e a prezzi non competitivi rispetto alla concorrenza asiatica.

Per esempio, nel 2023 la capacità produttiva effettiva delle sue gigafactory è stata pari a 79.8 Megawatt orari, ossia un misero 0.5% dei 16 Gigawatt orari previsti.

Una lezione geopolitica

La lezione da trarre da questa vicenda è che, nell’attuale scenario geopolitico, a detenere carattere strategico non sono tanto le aziende, quanto le relazioni internazionali. Una diversa strategia avrebbe potuto portare a risultati migliori, ad esempio finanziando la costruzione di stabilimenti produttivi in Sud America presso partner commerciali affidabili come Cile e Argentina (a proposito di accordo UE-Mercosur).

Il tempo utile sta finendo. Mentre Pechino costruisce porti commerciali in Perù, ferrovie in Colombia e linee metropolitane in Messico, ulteriori tentennamenti condannerebbero definitivamente l’Europa all’irrilevanza e alla subalternità nei processi globali legati alle materie prime.

Diciamolo in altri termini: sovrana e autonoma deve essere non l’industria, ma la strategia politica e diplomatica dell’Europa. Non possiamo rifugiarci in un acquario, ma imparare a nuotare in mare aperto.