Georgescu ha violato le regole elettorali, il resto è guerra ibrida di Mosca

Carmelo Palma
12/03/2025
Poteri

La decisione dell’Ufficio elettorale centrale sull’esclusione della candidatura alle presidenziali rumene di Călin Georgescu, come quella – a quest’ultima presupposta – della Corte Costituzionale di Bucarest sull’annullamento del primo turno di dicembre 2024, possono suscitare dubbi e perplessità di ogni tipo, anche perché costituiscono una risposta inedita a un problema che, per la sua natura e le sue proporzioni, non ha precedenti, né veri termini di confronto: quello dell’ingegnerizzazione della guerra ibrida e del sabotaggio tecnologico dei processi democratici

Sostenere però come fanno molti anche in Italia (da Salvini a Renzi) che Georgescu è stato escluso dalle prossime elezioni presidenziali e che le elezioni precedenti sono state annullate per una pura discriminazione ideologica verso un candidato filo-russo è molto di più che una solenne sciocchezza: è proprio un atto di guerra ibrida, cioè di costruzione e diffusione di un’informazione falsa, deliberatamente finalizzata a depistare la consapevolezza degli elettori e a suscitarne una pavloviana reazione antidemocratica e antieuropea.

Le motivazioni della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale ha annullato le elezioni perché Georgescu aveva dichiarato di avere speso “zero leu” (la moneta rumena) a fronte di una campagna elettorale in cui risultavano svariate iniziative e massicci investimenti sui social network, peraltro tutti effettuati irregolarmente, non solo perché non dichiarati in termini economici, ma anche perché ingannevoli, cioè non ricondotti esplicitamente, come prescrive la legge rumena (e non solo rumena), alla committenza del candidato e quindi a una natura pubblicitaria. 

La Corte Costituzionale, su questa base, ha concluso che Georgescu aveva violato le regole fondamentali di trasparenza dei finanziamenti e delle attività elettorali, oltre ad avere goduto di un indebito vantaggio competitivo attraverso una manipolazione abusiva degli algoritmi di visualizzazione dei messaggi politici.

È chiaro? Le elezioni presidenziali sono state annullate e riconvocate perché Georgescu ha violato la legislazione elettorale rumena, a prescindere dalle ulteriori contestazioni – dai finanziamenti illeciti, all’attentato all’ordine costituzionale – che le sue relazioni speciali con la Russia e con gruppi paramilitari e eversivi hanno determinato e per cui, in ogni caso, deve ancora essere giudicato.

Prima di dire che “far fuori” un candidato o un eletto per mere irregolarità amministrative in materia di spese e attività elettorali sia un abominio antidemocratico bisognerebbe prendere atto che questa a quanto pare abominevole pratica è prevista, tale e quale, anche in Italia e vale per tutti gli eletti, dai comuni al Parlamento nazionale e europeo. 

“L’accertata violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale, dichiarata dal Collegio di garanzia elettorale in modo definitivo, costituisce causa di ineleggibilità del candidato e comporta la decadenza dalla carica del candidato eletto”: così dispone l’articolo 15, comma 7, legge 515/1993. Dovremmo saperlo e averlo fresco nella memoria, perché si tratta proprio della norma al centro della possibile decadenza della Presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde, che come Georgescu aveva dichiarato di non avere speso nulla in campagna elettorale, pur di fronte a un’evidenza altrettanto palmare – seppure non dissimulata – di contributi ricevuti e di spese effettuate per la candidatura.

In base alla decisione della Corte Costituzionale, l’Ufficio elettorale centrale rumeno ha concluso che l’ineleggibilità sopravvenuta per la violazione della disciplina vigente nell’elezione annullata si estende all’intero procedimento elettorale, dunque anche alla ripetizione del voto del primo turno delle presidenziali. Ieri proprio la Corte Costituzionale ha confermato la coerenza dell’interpretazione data dall’Ufficio elettorale centrale, rigettando il ricorso di Georgescu.



In ogni caso, si tratta di una decisione che non ha nulla a che fare con l’orientamento ideologico del candidato e sostenere che sia un artificio giuridico del tutto arbitrario implica una robusta dose di malafede, viste le violazioni macroscopiche della trasparenza della normativa elettorale compiute da Georgescu.

Tra interrogativi legittimi e strumentalizzazioni filo Mosca

In attesa dell’esito del ricorso di Georgescu, restano gli interrogativi: aveva la Corte Costituzionale il potere che ha esercitato o se lo è arrogato indebitamente, perché la Costituzione o l’ordinamento giuridico rumeni, al pari di altri, è indifeso e indifendibile da queste ingerenze e quindi i giudici della suprema corte del Paese avrebbero dovuto prenderne atto? E ancora: la possibilità di invalidare le elezioni non è forse un’arma ancora più letale democraticamente del possibile condizionamento del processo elettorale e quindi non è preferibile avere un’elezione inquinata piuttosto che annullata da un giudice o da un’altra autorità?

Posto che questi sono interrogativi legittimi (il secondo legittimamente suicidario), anche se in genere usati strumentalmente per giustificare la manomissione dei processi democratici, per criticare la decisione di giudici e istituzioni di garanzia su Georgescu non si parla di questo, ma, letteralmente di “un colpo di stato” contro un avversario politico. Il che è una patente di putinismo militante o perlomeno onorario per chiunque si avventuri su questa strada.