Georgia: cento giorni di proteste per la Libertà

Chiara Squarcione e Federica Valcauda, Europa Radicale
08/03/2025
Frontiere

Sono passati cento giorni. Cento giorni durante i quali i cittadini georgiani sono scesi in piazza per rivendicare la loro libertà, i loro diritti, con richieste chiare e inequivocabili: nuove elezioni libere, trasparenti, democratiche, e la liberazione dei prigionieri politici ingiustamente reclusi nelle carceri statali, rei di aver lottato per difendere una Georgia libera, moderna, democratica. Europea. Cento giorni che, nonostante le difficoltà imposte dalle gravi repressioni della polizia, che agisce sotto il controllo del partito “Sogno Georgiano”, rappresentano una scelta chiara: quella dei georgiani che desiderano diritti e democrazia. Una scelta che si esprime attraverso la costante esposizione in piazza delle bandiere europee accanto a quello di Sakartvelo – e dell’Ucraina – come simbolo della possibilità di costruire un Paese che si fondi su e che incarni lo Stato di Diritto.

L’attacco del Governo filorusso allo stato di diritto

Sono cento giorni di resistenza contro quello che, ormai, è un regime vero e proprio. Un regime che, un anno fa, ha iniziato a preparare il terreno per trasformare la Georgia in uno stato autocratico, promuovendo la legge “contro gli agenti stranieri” e modificando l’articolo 36 della Costituzione. Quest’ultimo, che parlava della “parità tra i coniugi”, è stato cambiato per stabilire esplicitamente che il matrimonio deve essere tra uomo e donna. La modifica dell’articolo 36 è stata accompagnata da una retorica anti-occidentale, con l’argomentazione di “resistere alla colonizzazione morale”. L’Unione Europea si è espressa chiaramente attraverso l’ex vicepresidente della Commissione Europea Josep Borrell, sottolineando che la legge anti-LGBT minerebbe i diritti fondamentali, aumentando la discriminazione e la stigmatizzazione. Inoltre, implicava il progressivo allontanamento della Georgia dai valori fondamentali europei, rallentando il processo di adesione del Paese all’Unione Europea. Per il partito di governo “Sogno Georgiano”, i consigli europei sulla tutela dei diritti umani e civili sono visti come ostacoli. Non è un caso che, già nella prima settimana dell’insediamento, il governo abbia bloccato i negoziati per l’ingresso nella grande famiglia europea. Quel blocco ha dato il via a una serie di misure restrittive, a partire da un lavoro parlamentare volto a limitare ulteriormente la libertà di stampa e di manifestazione.



Abbiamo più volte affermato che le restrizioni alla libertà di stampa sono storicamente il primo passo verso l’instaurazione di un regime autoritario. Le leggi attualmente in vigore e in via di approvazione da un Parlamento di fatto esautorato dalle sue funzioni democratiche mirano a censurare i media nazionali e a limitare le possibilità di espressione, soprattutto in senso critico, dell’intera società civile georgiana. La proposta legislativa legata alla limitazione della libertà di stampa è ancora più lesiva della democrazia di quella sugli “agenti stranieri” varata l’anno scorso: nella sostanza, la legge sugli “Agenti Stranieri e la Trasparenza dei media” obbliga le ONG e le organizzazioni mediatiche georgiane che ricevono oltre il 20% dei loro finanziamenti dall’estero a registrarsi come “organizzazioni che agiscono nell’interesse di una potenza straniera”, venendo così sottoposte a un rigoroso monitoraggio ogni sei mesi. Il rifiuto di ottemperare all’obbligo di registrazione comporta pesanti multe. Il fautore del progetto di legge Mamuka Mdinaradze (Sogno Georgiano), leader della maggioranza parlamentare, ha sottolineato come sono pronti ad essere varati “standard per l’obiettività dei media e l’etica giornalistica”, in particolare per quelle testate e organizzazioni che ricevano finanziamenti da altri Paesi. In sostanza, i media indipendenti non potranno più dirsi né essere, nei fatti, tali.

Le decisioni del regime georgiano hanno spinto il Parlamento Europeo a prendere decisioni politiche importanti. Il 13 febbraio, infatti, il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione che, con 400 voti favorevoli, 63 contrari e 81 astenuti, ha dichiarato di non riconoscere l’attuale governo georgiano, che sta minando le istituzioni democratiche del Paese. L’Europarlamento ha anche deciso di riconoscere Salome Zourabichvili come legittima Presidente della Georgia, invitandola a rappresentare il Paese nelle riunioni del Consiglio Europeo e della Comunità Politica Europea. Una scelta finalmente coraggiosa, che è il primo tassello in difesa di tutti coloro che da cento giorni stanno scendendo in piazza: una scelta che dovrà evolversi e sostanziarsi con forza nelle prossime settimane, soprattutto per proteggere i giornalisti e le giornaliste che oggi sono vittime del regime. Il caso simbolo è quello di Mzia Amaghlobeli, giornalista e direttrice di testate indipendenti georgiane Netgazeti e Batumelebi, che è stata arrestata e condannata dalla Corte di Batumi. Una decisione duramente condannata dal Committee to Protect Journalists, che l’ha definita sproporzionata, soprattutto considerando i numerosi attacchi a cui i giornalisti sono stati sottoposti durante le proteste per l’ingresso nell’Unione Europea.

La repressione della società georgiana e dei suoi diritti

La Georgia sta effettivamente affrontando una situazione drammatica, che vede il rapido declino della libertà di stampa, come confermato dall’European Press Freedom Report, prodotto dal Consiglio d’Europa in collaborazione con diverse ONG. Il rapporto riflette la situazione che descriviamo da tempo: durante le elezioni di ottobre, alcuni network russi hanno diffuso informazioni false, contribuendo ad una imponente opera di disinformazione e condivisione di teorie cospirazioniste, al fine di screditare i gruppi favorevoli all’ingresso nell’Unione Europea, e in generale un avvicinamento all’Occidente in opposizione all’orbita russa sempre più minacciosa e autoritaria. Le ONG che si occupano di monitorare la libertà di stampa, presenti come osservatori anche ad ottobre durante le elezioni georgiane, hanno riscontrato che i professionisti e le professioniste del giornalismo georgiano si trovano nella condizione di operare dento un sistema contraddistinto da dinamiche autoritarie, e settanta giornalisti hanno subito aggressioni e violenze fisiche e verbali, nel tentativo di ostacolare il loro lavoro.

Il sogno europeo della Georgia infranto dalla propaganda russa

Nel mese di ottobre, con Europa Radicale, siamo stati a Tbilisi durante le elezioni, e il sentimento pro-europeo delle persone in giro per la città, nei seggi, nelle piazze, ci aveva fatto capire che non si sarebbero arresi facilmente: oggi, infatti, sono passati più di cento giorni di proteste, nonostante la continua repressione da parte della polizia. Il partito filorusso “Sogno Georgiano” sta cercando di spostare l’asse dei diritti civili, rendendo la Georgia sempre più simile alla Russia. L’introduzione delle leggi sulla “Trasparenza dell’influenza straniera” minaccia l’esistenza dei media indipendenti, indebolisce la società civile, restringe le libertà di manifestazione e rende i giornalisti indipendenti sempre più vulnerabili, come dimostra la conferma dell’arresto di Amaghlobeli. La regressione giuridica della Georgia allontana il Paese dai principi fondamentali e democratici necessari per l’ingresso nell’Unione Europea. È necessario, pertanto, indire nuove elezioni, che rispecchino il rispetto dei diritti civili dei cittadini.

Sappiamo che alla risoluzione del Parlamento Europeo del 13 febbraio dovranno seguire altri atti, non solo a livello europeo, ma anche da parte dei singoli Paesi. Da mesi chiediamo al Governo italiano di prendere una posizione chiara e di non riconoscere il governo del partito “Sogno Georgiano”, sotto l’influenza dell’oligarca filorusso Ivanishvili. Finora, non abbiamo ricevuto alcuna risposta. Noi continueremo a stare al fianco del popolo georgiano.