Groenlandia: la Francia propone truppe europee, l’Italia resta muta

Guglielmo Tornitore
29/01/2025
Frontiere

La proposta francese di inviare truppe in Groenlandia ha rotto gli indugi in Europa. Il ministro degli Esteri di Parigi, Jean-Noël Barrot, ha infatti confermato di aver aperto un confronto con Copenaghen sull’eventualità di una presenza militare europea sull’isola, dopo che il neoinsediato presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha rilanciato con insistenza l’idea di “acquistare” la Groenlandia — anche con la forza, se necessario.

Se la Danimarca chiamerà, la Francia risponderà. I confini europei sono sovrani, che siano a nord, a sud, a est o a ovest… nessuno può permettersi di violarli”, ha dichiarato Barrot, precisando però che, al momento, non è volontà della Danimarca procedere in questo senso e che un eventuale intervento militare resta un’ipotesi estrema, da valutare solo in caso di necessità.

Parallelamente, il ministro francese ha riferito che i suoi omologhi dell’Unione europea, riuniti a Bruxelles lunedì, hanno espresso il loro “forte sostegno” a Copenaghen e si sono detti “pronti a considerare l’invio di truppe” a difesa del territorio groenlandese, se la situazione dovesse precipitare.

L’escalation di Trump e la risposta europea

La Groenlandia, in quanto parte del Regno di Danimarca e dunque di un Paese fondatore della NATO, si trova al centro delle ambizioni di Trump, che ritiene il controllo dell’isola “un obiettivo vitale di sicurezza nazionale”. L’area, ricca di risorse minerarie e strategicamente decisiva nell’Artico, ha attirato l’interesse degli Stati Uniti già durante il primo mandato presidenziale di Trump, ma all’epoca i danesi respinsero senza appello l’idea di cedere il territorio.

Oggi, con il magnate newyorkese di nuovo alla Casa Bianca da poco più di una settimana, è tornato l’incubo di una possibile annessione della Groenlandia: Trump non esclude l’uso della coercizione militare o economica, come ha più volte lasciato intendere nei suoi interventi.

“Non è più uno scherzo”: l’allarme di Frederiksen

L’insistenza di Trump su un territorio così sensibile ha però messo in allarme Copenaghen e diversi governi europei, convinti che il nuovo-vecchio presidente degli Stati Uniti voglia rafforzare la presenza militare americana nell’Artico, in un gioco di competizioni incrociate con Russia e Cina.

Frederiksen stessa ha usato toni duri quando ha spiegato ai partner europei la gravità della situazione. In un colloquio telefonico risalente a due settimane fa, la premier danese e Trump si sarebbero scontrati duramente in una conversazione di 45 minuti, dove è emerso in modo netto che il presidente USA “faceva sul serio”.

In reazione a queste “proposte sempre più aggressive”, la prima ministra danese Mette Frederiksen ha intrapreso un rapido tour diplomatico fra le principali capitali europee. Nella sola giornata di martedì, si è recata a Berlino e Parigi, per poi incontrare il segretario generale della NATO, Mark Rutte, a Bruxelles. Nei colloqui con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e con il presidente francese Emmanuel Macron, Frederiksen ha ribadito la necessità che l’Europa resti unita a difesa della Groenlandia.

Non mi serve fare discorsi in pubblico. Ciò che conta è difendere gli interessi della Danimarca in modo deciso, e questo sto facendo ora”, ha detto Frederiksen, per poi aggiungere che “il rispetto della sovranità degli Stati è un principio cardine dell’ordine mondiale del dopoguerra”.

Scholz, da parte sua, ha sottolineato come “i confini non devono essere spostati con la forza”, ricordando l’invasione russa dell’Ucraina e l’importanza di mantenere saldi i principi del diritto internazionale.

L’appoggio dei vertici UE e del Regno Unito

Anche altri leader europei hanno manifestato preoccupazione: sono previsti incontri e consultazioni per discutere le relazioni con Trump e la “questione Groenlandia” a un summit informale dei capi di Stato e di governo dell’UE, in programma a Bruxelles il 3 febbraio. A questa riunione parteciperà pure il primo ministro britannico Keir Starmer, nell’ottica di un miglior coordinamento tra Londra e l’Unione su difesa e sicurezza.

La strategia di molti Paesi europei nei confronti del presidente statunitense è stata finora di ignorare le sue dichiarazioni più provocatorie e concentrarsi su fatti e decisioni concrete:

Non possiamo passare quattro anni a rispondere a ogni tweet”, ha commentato un diplomatico europeo, suggerendo di evitare un botta e risposta continuo.

Tuttavia, il progetto di “conquista” della Groenlandia sembra ormai impossibile da minimizzare. Fonti diplomatiche riferiscono che, dopo la prima reazione di “sconcerto e incredulità”, l’Unione europea sta “cambiando marcia” e predisponendo un piano più energico per sostenere la Danimarca. A tal proposito, sia Frederiksen sia il presidente del Consiglio europeo António Costa hanno confermato di essersi sentiti più volte per coordinare i passi da compiere. Un alto funzionario UE ha evidenziato come l’Europa sia “totalmente e pienamente a fianco di Danimarca e Groenlandia” e pronta a riaffermarlo in ogni sede.

La posizione dei groenlandesi: “Non vogliamo essere americani”

Nel frattempo, l’85% della popolazione groenlandese ha fatto sapere di non essere minimamente interessata a passare sotto la bandiera a stelle e strisce. Lo rivela un sondaggio commissionato dal quotidiano locale Sermitsiaq e dal danese Berlingske.

Il primo ministro groenlandese Múte Egede ha ribadito più volte la volontà di mantenere l’autonomia dell’isola, fino a valutare un referendum per l’indipendenza dalla Danimarca.

Non vogliamo essere danesi. Non vogliamo essere americani. Vogliamo essere groenlandesi”, ha dichiarato Egede, rivendicando la piena autonomia del proprio popolo.

Sulla carta, la Groenlandia è parte integrante della Danimarca dal 1953 (in precedenza era una colonia), ma di fatto gode di un’ampia autonomia interna. Qualsiasi tentativo di “acquisto” o annessione coatta da parte degli Stati Uniti striderebbe con i principi fondamentali del diritto internazionale e, oltre a rappresentare un atto ostile a uno Stato UE, creerebbe una frattura profonda e inedita all’interno della NATO.

L’immobilismo italiano: un silenzio che fa rumore

Di fronte a questo clima di tensione, sorprende il silenzio del governo italiano. Da più parti, si segnala come Roma non abbia ancora preso una posizione chiara né contro l’ipotesi di Trump, né a favore della Danimarca. Per alcuni osservatori, ciò potrebbe suggerire una pericolosa vicinanza alle posizioni del presidente americano; per altri, un colpevole disinteresse verso la vicenda groenlandese, malgrado l’Italia sia osservatore del Consiglio Artico dal 2013 e abbia un ruolo di prim’ordine come Paese produttore ed esportatore di energia, con l’Eni in prima linea.

L’Italia dovrebbe invece mostrare una strategia proattiva sull’Artico, schierarsi con la Danimarca e sostenere la difesa della Groenlandia, sia come segno di solidarietà europea sia per il proprio interesse geopolitico. Un disimpegno protratto finirebbe per apparire connivente con l’espansionismo statunitense e contrario ai valori fondativi dell’Unione europea, che si basa sulla tutela della sovranità dei propri territori e sul rispetto del diritto internazionale.



Prospettive e prossime mosse

L’attenzione ora è tutta concentrata sui prossimi vertici europei e sulle scelte di Copenaghen. Se la Danimarca dovesse trovare l’appoggio di un numero sufficiente di Stati membri (e magari anche del Regno Unito), non è escluso che si giunga a una posizione comunitaria ancora più netta. Per ora, l’opzione militare francese resta sul tavolo a livello teorico, pronta a essere discussa nel caso in cui le minacce di Trump diventino più concrete.

Al di là della questione contingente, è evidente che la Groenlandia rappresenti un campo di prova del nuovo ordine mondiale, nel quale la competizione per le risorse e la posizione strategica nell’Artico si fa sempre più serrata. E l’Europa, come ricorda la premier danese, ha tutto l’interesse a “rimanere unita e ferma” per difendere i propri princìpi, la propria sovranità e il rispetto del diritto internazionale, principi che troppo spesso vengono messi in discussione da iniziative spregiudicate come quella rilanciata dal presidente degli Stati Uniti.