Il 25 Aprile non è una festa sobria, ma neanche una festa della pace

Redazione
25/04/2025
Orizzonti

Ogni anno, come un riflesso automatico, c’è la solita polemicuccia delle parti sul 25 Aprile. Stavolta il motivo scatenante è stata la richiesta del governo di “sobrietà” nel festeggiarlo, stante il lutto per la morte di Papa Francesco.

Ma viene da chiedersi: sobrietà rispetto a cosa? Non è che il 25 aprile sia una sagra fuori controllo. È una giornata di cortei, memoria, parole. Diciamo la verità: chiedere “sobrietà” è parso come un tentativo di ridimensionare il significato della giornata, a smussarne l’impatto. Come se fosse troppo. Come se disturbasse.

La verità è che ogni 25 Aprile l’Italia si rende conto di non essere mai maturata. A destra e a sinistra.
Sì, anche una certa sinistra ha fatto la sua parte nel renderlo divisivo. Lo ha usato come terreno di scontro ideologico, lo ha raccontato come una ricorrenza “propria”, spesso con toni da monopolio morale. Così facendo, ha contribuito a delegittimarlo come festa di tutti. Dall’altra parte, la destra ci ha messo del suo: con ambiguità, revisionismi, e quel continuo ammiccare al quarto d’ora di fascismo quotidiano che alberga in troppi italiani. Il risultato? In Italia non c’è — e forse non c’è mai stato — un vero spirito repubblicano condiviso.

E mentre si litiga sul tono della festa, si dimentica cosa si celebra. Il 25 Aprile non è una festa della pace. È la festa della liberazione e di una resistenza armata, dura, violenta. E va bene così. Perché c’è una violenza giusta, quella di chi combatte per liberarsi da un regime oppressivo. I nostri nonni partigiani presero le armi per cacciare un occupante e abbattere un regime, insieme agli Alleati. Oggi, quando lo stesso diritto lo rivendicano gli ucraini contro l’invasore russo, molti si voltano dall’altra parte. E non sentono la responsabilità di essere – noi – gli Alleati di cui il popolo oppresso avrebbe tanto bisogno. Come se la resistenza fosse giusta solo quando appartiene al passato.

Il 25 Aprile è una festa che non va addolcita, non va depotenziata, né con la richiesta di sobrietà, né con la retorica pacifista. Va capita, difesa, e — se possibile — restituita a tutti e alla sua vera natura.