Il fasciocomunismo di Trump e Putin: il nuovo totalitarismo che piace a troppi

Sordello da Goito
01/04/2025
Poteri

Che l’allegro triangolo Trump-Vance-Musk stia facendo di tutto per onorare i “fasti” dei totalitarismi cha hanno insanguinato e incupito l’Europa occidentale nella prima metà del ‘900 è ormai un dato di fatto. Così come non è più solo un’impressione l’ammirazione per nulla celata che il presidente americano nutre verso la figura dell’ultimo esponente di quello che fu il “sottopotere” sovietico del KGB. Note anche le sue simpatie storiche per il rapporto tra Hitler e i suoi generali e quelle più contemporanee nei confronti di Kim Jong-un. Insomma, Trump ha fatto e continua a fare di tutto per rivendicare con orgoglio di non essere certamente un ispettore della Guida Michelin della democrazia, ma neanche un maturando della scuola secondaria, vista la povertà di lessico che lo contraddistingue.

Ma come reagisce la politica italiana alla minaccia trumpiana?

A sinistra non sembra vero di poter sventolare la solita bandiera del solito antifascismo contro le sparate di Trump, Vance e Musk, ma si fermano a un antitrumpismo di maniera quando si ostinano a voler negare che l’unico modo per mantenere uno spazio di libertà in Europa è quello di renderla forte e sicura anche con la deterrenza data dalle armi.  

A destra invece parte l’onanismo collettivo quando il presidente USA insulta le persone transgender e inaugura la crociata anti woke. Alcuni sono talmente pieni d’odio verso tutto ciò che è “diverso” che, pur di esultare per la crociata trumpiana contro le politiche di diversità e inclusione, giungono a sostenere, in piena sindrome di Stoccolma, che i dazi all’Europa costituirebbero “un’opportunità per le aziende italiane” e definiscono “uomo di pace” un tizio che un giorno sì e l’altro pure minaccia bombardamenti qua e là.

Chissà come si comporterebbero sovranisti e nazionalisti nostrani se, presa la Groenlandia e compreso che della “riviera del Medioriente” resterà solo il pessimo video con le statue dorate, Trump decidesse, cogliendo il suggerimento di un pesce d’aprile, magari dopo essersi confrontato con il “Toro Seduto” dell’assalto a Capitol Hill, di prendersi la Sardegna per avere al contempo non solo una delle perle del Mediterraneo – ready to live, senza bisogno di ristrutturare come occorrerebbe a Gaza – ma anche un avamposto al centro del Mare nostrum. Probabilmente qualcuno è già pronto a definire anche quella un’opportunità pur di avere il ruolo di console-kapò.

L’asse Trump-Putin: il peggio dei due mondi

L’aspetto più deprimente è però dato dal fatto che in molti, troppi, continuano a non voler comprendere che oggi non ha più senso essere “di sinistra” perché antifascisti o “di destra” perché anticomunisti, perché sia Trump che Putin incarnano il peggio di entrambi i totalitarismi che hanno messo a ferro e fuoco il ‘900. Eppure basterebbe che a sinistra iniziassero a definire Trump come il peggiore dei dittatori comunisti per mandare nel pallone certi trumpiani italiani, così come a destra basterebbe ricordare che l’Italia è stata liberata dal nazifascismo grazie all’uso delle armi, per poter smascherare facilmente il pacifismo finto e ipocrita di certa sinistra. Tuttavia, per far questo, occorrerebbe essere liberi da dogmi ideologici, da quei mostri che ancora oggi impediscono ala politica Italiana di fare il salto di qualità verso una dimensione europea di una destra e una sinistra che si confrontano e si alternano all’interno del perimetro di una democrazia liberale.

Ecco perché l’asse ideologico Trump-Putin piace ad alcuni a destra e non dispiace ad altri a sinistra, perché rappresenta la vera realizzazione del fasciocomunismo, quel minestrone cucinato con tutti gli ingredienti propri delle due ideologie con un obiettivo di fondo: la realizzazione dello stato etico. Tanto faceva l’Unione Sovietica e continua a fare il regime putiniano, tanto mirano a fare Trump, Vance, Musk e il MAGA, soggetti per cui ogni aspetto della realtà può essere rielaborato attraverso la manipolazione dell’informazione, la denigrazione del passato e il controllo diffuso delle idee, minando dal profondo quei valori secolari di libertà e uguaglianza che hanno dato la luce e la forza al mondo libero. Il tutto in un contesto in cui i social media delle Big Tech accrescono enormemente la loro influenza politica e sociale e si rivelano strumenti talmente potenti che le istituzioni sono costrette ad adattarsi (per non dire pronarsi) sia sul piano culturale che su quello normativo.

Nel frattempo, mentre quelli più svegli di noi, quasi tutto il resto d’Europa, il Canada, l’Australia, il Giappone e forse addirittura anche la Cina, hanno ben capito che oggi non servono dittature esplicite per iniziare a preparare una nuova resistenza globale, ci troviamo costretti ad assistere al continuo, sterile e anacronistico duello tra fascisti e antifascisti, comunisti e anticomunisti.

In questa follia collettiva che minaccia l’intera umanità, non meraviglia neanche che tanti “liberali” italiani simpatizzino tanto per l’uno quanto per l’altro campione di libertà, mentre quelli che dovrebbero o avrebbero dovuto rappresentare un’alternativa seria nel solco della democrazia liberale preferiscono concentrarsi nella gara a chi ce l’ha più lungo in una batteria di minidotati, rivelandosi sempre più inadatti a rappresentare un’alternativa e incapaci di offrire un’opzione politica che possa fare la differenza nelle varie maggioranze di governo della democrazia dell’alternanza.

L’opportunismo di Meloni, con un piede in due scarpe

Intanto, mentre galline e galletti del pollaio Italia somigliano sempre più ai capponi di Renzo e continuano nel loro esercizio retorico da Bignami di storia e filosofia, Giorgia Meloni può permettersi di tenere il Paese in bilico tra l’Europa e Trump, tra la democrazia liberale e la democratura, tra i dialogo e la prepotenza, tra il diritto e il crimine internazionale (i modi con i quali Trump dichiara di voler  “prendere” la Groenlandia sono gli stessi con i quali Putin ha annesso la Crimea); nel frattempo va ai vertici dei volenterosi ma dà anche ragione a Vance che definisce gli europei dei parassiti, il tutto nel tempo involontariamente concessole per non prendere ancora una posizione e permetterle di studiare e capire quando e come quale schierarsi nel momento in cui il gioco si farà davvero duro.