Il futuro del pianeta passa per la Groenlandia: Trump l’ha capito, l’Europa ancora no
“Per gli Stati Uniti, acquistare la Groenlandia è una necessità“. Lo ha dichiarato pochi giorni or sono Donald Trump e lo schema è il solito: lui lancia un enorme sasso nello stagno, il rumore sorprende tutti, i più distratti snobbano le sue parole, gli avversari le ridicolizzano. E’ un errore: anche quando usa toni bizzarri e provocatori, Trump sa esattamente quello che dice. Nel caso della Groenlandia, non è la prima volta che Trump evoca l’interesse all’acquisto (ma dovremmo più propriamente parlare di annessione): lo aveva già fatto nel 2019. Anche all’epoca l’idea suscitò scetticismo e ironia, e la questione sembrò chiusa con le dichiarazioni molto nette della prima ministra danese, Mette Frederiksen: “La Groenlandia non è in vendita” (la Groenlandia, per chi non lo sa, è un territorio autonomo appartenente al Regno di Danimarca, così come le isole Far Oer).
Eppure, per segnalare che la serietà della proposta, dopo la chiusura netta di Frederiksen, Trump cancellò una visita già programmata in Danimarca, provocando l’imbarazzo di Copenhagen (video).
Altro che provocazione: ecco perchè Trump fa sul serio
Nel 2020, il Generale Covid travolse Trump e le sue speranze di rielezione, congelando nei fatti la questione Groenlandia, che ora però The Donald ripropone nella sua crudezza. Fate attenzione: nel contesto della crescente competizione globale sull’Artico, le sue parole assumono un significato strategico profondo, non vanno sottovalutate. La Groenlandia, la più grande isola del pianeta, non è solo un blocco di ghiaccio remoto, ma un nodo cruciale di risorse naturali, rotte commerciali e interessi geopolitici.
Volendo parlare con il linguaggio semplice dell’americano medio, e non avendo in fondo altro linguaggio che quello, Trump presenta la questione quasi come un’operazione di real estate. E’ ovviamente improbabile, anzi impossibile, che l’affare si concluda davanti a un notaio e in presenza di un agente immobiliare. Eppure, è importante segnalare che Trump non usa categorie astruse, ma espliciti riferimenti storici: uno, nel 1867, il Segretario di Stato William Seward negoziò l’acquisto del territorio dell’Alaska dalla Russia per 7,2 milioni di dollari, un affare che all’epoca venne soprannominato la follia di Seward dai critici, convinti che fosse uno spreco di denaro per una terra remota e inospitale (col tempo, si è rilevata una mossa strategica geniale); due, nel 1946 il presidente degli Stati Uniti Harry Truman propose proprio l’acquisto della Groenlandia dalla Danimarca per 100 milioni di dollari; la Danimarca rifiutò l’offerta, ma l’interesse americano portò comunque alla costruzione della base militare di Thule nel nord dell’isola. Inoltre, è importante inquadrare l’offerta di Trump nel turbolento contesto politico della piccola comunità groenlandese, animata da sempre più forti spinte separatiste dalla “potenza” coloniale danese.
Una terra strategica al centro del cambiamento climatico
Con una superficie che supera di tre volte quella della Francia e un territorio ricoperto all’80% da ghiacci, la Groenlandia sta emergendo come un centro nevralgico dello scacchiere globale. Il cambiamento climatico, che ogni anno provoca la fusione di circa 200 miliardi di tonnellate di ghiaccio, sta svelando e rendendo sempre più accessibili le immense risorse naturali dell’isola. Queste comprendono idrocarburi, tra ci petrolio e gas naturale, ma soprattutto riserve significative di terre rare, indispensabili per la tecnologia avanzata e i sistemi di difesa. Inoltre, lo scioglimento dei ghiacci sta aprendo nuove rotte marittime, come la Rotta del Mare del Nord, che collega Europa e Asia riducendo drasticamente i tempi di navigazione. La Groenlandia si trova quindi al centro di una partita geopolitica globale, in cui le grandi potenze si contendono il controllo e l’influenza.
Gli Stati Uniti e l’ambizione artica
Gli Stati Uniti vedono nella Groenlandia un baluardo cruciale per la sicurezza nazionale e l’avanposto imprescindibile per il futuro controllo dell’Artico. La prima Amministrazione Trump annunciò a fine 2019 la riapertura del consolato generale a Nuuk (chiuso dal 1953), cosa poi materialmente avvenuta a giugno 2020 (dunque, senza alcun ripensamento da parte dell’Amministrazione Biden). Parallelamente all’espansione della diplomazia, gli Stati Uniti hanno aumentato significativamente la loro presenza militare nella regione. Tra le iniziative più visibili vi è l’invio di quattro caccia F-35 di ultima generazione nella base di Thule. La base rappresenta il punto più settentrionale delle installazioni militari statunitensi nel mondo ed è stata modernizzata negli ultimi anni per rispondere alle nuove esigenze strategiche. Infine, il nuovo ambasciatore americano a Copenaghen, già designato da Trump. Di chi si tratta? Ken Howery, imprenditore e investitore statunitense, noto per essere uno dei co-fondatori di PayPal insieme tra gli altri a Elon Musk. Dopo la vendita di PayPal a eBay nel 2002, Howery ha continuato la sua carriera nel settore del venture capital, fondando nel 2005, insieme a Thiel e Nosek, Founders Fund, una società di venture capital che gestisce oggi oltre 3 miliardi di dollari in investimenti. Howery ha già ricoperto ruoli diplomatici: dal 2019 al 2021, proprio con Trump, ha servito come ambasciatore degli Stati Uniti in Svezia. Insomma, parliamo di una vecchia conoscenza sia del neo eletto presidente che del suo principale sponsor, il quale non ha tardato ad “assegnare” proprio ad Howery il compito di aiutare Trump nell’operazione di acquisto della Groenlandia.
La Cina e la strategia economica
Non ci sono solo gli occhi di Washington sulla Groenlandia. Anzi, da tanti punti di vista, è un bene che Donald Trump abbia posto così tanta attenzione sull’isola artica, perché qualche anno fa sulla Groenlandia si erano già posate le mire di qualcun altro: la Cina. Pechino aveva aperto un dialogo con il governo di Nuuk analogo a quello che ha con alcuni governi africani, ai quali offre lauti finanziamenti e linee di credito per la realizzazione di infrastrutture, in cambio di un ingresso a pieno titolo nell’economia del Paese in questione e licenze per sfruttarne le risorse naturali. La prima significativa vicenda riguarda gli aeroporti. Nel 2017, il governo di Nuuk si trovava alla ricerca di fondi per costruire nuovi scali, infrastrutture cruciali per migliorare la mobilità e promuovere lo sviluppo economico dell’isola. Pechino si propose di finanziare il progetto, a condizione che la costruzione fosse affidata a società cinesi. L’iniziativa suscitò l’immediata reazione occidentale: Washington iniziò una forte pressione sulla Danimarca, che alla fine intervenne con finanziamenti diretti per impedire l’accesso cinese. Ma è sulle terre rare che si sta avvertendo la maggiore pressione cinese sull’isola: la Shenghe Resources (controllata dal governo cinese) detiene la quota di controllo della Energy Transition Minerals (già Greenland Minerals), società quotata australiana che detiene l’area di Kvanefjeld, che secondo le principali rilevazioni potrebbe essere il secondo sito al mondo per disponibilità di ossidi di terre rare e il sesto al mondo per disponibilità di uranio. Finora, grazie soprattutto alla pressione esercitata dagli Stati Uniti e in misura minore dall’Unione Europea, l’estrazione di uranio è vietata, ma come già dimostrano le turbolenze verificatesi durante le elezioni politiche groenlandesi del 2021, lo sfruttamento delle enormi risorse è e resta una questione aperta per una piccola comunità al momento estremamente dipendente solo dalla pesca e dai sussidi che arrivano dal governo danese.
La Russia e l’espansione artica
Anche la Russia gioca un ruolo nella partita groenlandese, sebbene meno diretto rispetto a Stati Uniti e Cina. Mosca ha ampliato la sua presenza militare nell’Artico, sviluppando infrastrutture lungo la Rotta del Mare del Nord e potenziando la sua flotta artica. Sebbene la Russia non abbia rivendicazioni territoriali dirette sulla Groenlandia (le ha invece sulle Svalbard, a cui dedicheremo un prossimo articolo), la crescente attenzione americana e cinese all’isola rappresenta una sfida per Mosca. Alcuni ufficiali russi hanno ipotizzato che un controllo diretto degli Stati Uniti sull’isola potrebbe trasformarla in una base militare strategica a pochi passi dai confini russi, alimentando le tensioni nella regione. Inoltre, la retorica russa ha cercato di equiparare le ambizioni statunitensi sulla Groenlandia alle proprie azioni in Ucraina. Elena Panina, una deputata di Russia Unita, ha dichiarato che la proposta di Trump di acquistare la Groenlandia è un chiaro esempio di imperialismo americano, aggiungendo che questo in fondo giustifica le azioni della Russia nel “proprio cortile geopolitico” dell’Ucraina.
L’Europa: una strategia ancora da definire
E l’Europa? In questo contesto di crescente competizione, l’Europa rischia di rimanere spettatrice. Anzi, spettatrice pagante. Formalmente la Groenlandia, pur essendo formalmente parte del Regno di Danimarca, non è parte dell’Unione Europea, in virtù di un referendum del 1985 con cui la popolazione dell’isola decise di abbandonare la CEE, essenzialmente per non dover seguire la regolazione continentale sulla pesca, ma ha scelto per sé lo status di territorio d’oltremare.
La Groenlandia riceve dunque finanziamenti dall’UE per lo sviluppo sostenibile e ha firmato accordi che rafforzano la cooperazione con Bruxelles, oltre ad avere ovviamente nella Danimarca (e nel resto del Vecchio Continente) il principale sbocco per i suoi prodotti. La relazione associata con l’Unione implica anche che tutti i cittadini del Regno di Danimarca residenti in Groenlandia (cittadini groenlandesi) sono cittadini europei e dunque liberi di muoversi e risiedere liberamente sull’intero territorio UE. Ancora, l’unica deroga che l’Unione Europea riconosce al divieto di vendita di prodotti derivanti dalla caccia della foche riguarda proprio la comunità Inuit della Groenlandia.
Insomma, l’Europa sostiene con i suoi strumenti la popolazione groenlandese, come d’altronde fa con ancora più risorse fiscali la Danimarca, ma appare oggi totalmente assente dal grande gioco che si va sviluppando intorno all’isola e manca di un piano d’azione che le permetta di mantenere la Groenlandia nel suo orbitale strategico.
L’Europa non offra solo sussidi, ma veri investimenti
Come può l’Europa muoversi con maggiore decisione? Serve anzitutto una strategia ambiziosa. Bruxelles deve offrire investimenti importanti, infrastrutturali e sociali, dimostrando ai groenlandesi che l’Europa può essere il partner più affidabile, vantaggioso e rispettoso dell’autonomia e della sovranità, anche nella grande e inevitabile partita dello sfruttamento delle risorse minerarie. Questo potrebbe includere il finanziamento di progetti di sviluppo sostenibile, la costruzione di infrastrutture moderne e il supporto economico per migliorare la qualità della vita e del lavoro nell’isola. Inoltre, l’Unione Europea dovrebbe intensificare la cooperazione scientifica e ambientale nell’Artico, sviluppando soluzioni innovative per affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico. Infine, non meno importante, occorre che l’Europa (e i suoi principali Paesi, finché non ci sarà una difesa unica) investano militarmente nella presenza e nella protezione dell’Isola, delle sue risorse e delle rotte che l’attraversano. La Danimarca ha già annunciato – proprio dopo le recenti dichiarazioni di Trump – annunciando un primo pacchetto di investimenti nella sicurezza dell’isola di circa 1,5 miliardi di euro. Sono spiccioli, ovviamente, ma è impensabile che ad investimenti più significativi provveda la sola Danimarca.
La Groenlandia non è solo una questione di risorse o di rotte commerciali: è una questione di futuro, di strategia e di ruolo globale. Gli Stati Uniti, la Cina e la Russia lo hanno capito e stanno già agendo per consolidare la loro influenza. L’Europa, invece, deve ancora dimostrare di essere all’altezza della sfida. Per evitare che l’isola scivoli fuori dalla sua sfera d’influenza, Bruxelles deve agire con visione e determinazione. Offrendo investimenti infrastrutturali, sociali e strategici, l’Europa può mantenere la Groenlandia legata a sé, consolidando il suo ruolo come protagonista nell’Artico. Il tempo per agire è adesso, i groenlandesi non aspetteranno per sempre, né lo faranno le grandi potenze predatrici.