In Europa siamo nati liberi. Vogliamo vivere da lavapiatti altrui?

Piercamillo Falasca
09/01/2025
Orizzonti

Passano i decenni ma restiamo sempre alla celebre battuta di Henry Kissinger sull’assenza di un numero di telefono per chiamare l’Europa. Oggi, di fronte al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, questa lacuna risuona come un boato assordante: l’Unione Europea manca di una leadership politica chiara e legittimata, capace di rispondere con autorevolezza ed efficacia alla sbruffoneria e all’arroganza con cui il presidente eletto approccia il rapporto atlantico.

Ursula von der Leyen, Antonio Costa o Kaja Kallas non possono competere con Trump: non sono eletti dai cittadini europei e non hanno l’autorevolezza necessaria per rappresentare una vera potenza globale. Non hanno un pulsante nucleare da premere, o da evocare.

Come ha efficacemente scritto Christian Spillmann per il Mattinale Europeo, di fronte alle minacce dichiarate di Trump – dall’annessione del Canada e della Groenlandia alla militarizzazione del Canale di Panama – l’Unione Europea si rifugia in una strategia di “allentamento della pressione”, che ricorda pericolosamente le esitazioni del 2021 di fronte ai preparativi della Russia per invadere l’Ucraina. Sappiamo come è andata a finire, purtroppo. L’invasione che non ci sarebbe mai stata, c’è stata. Oggi non è più il tempo del silenzio, dell’inerzia o dell’accomodamento. 



Trump non è un bluff: dice quello che vuole fare, alza il prezzo e cerca il punto di caduta più vantaggioso possibile. Potrà anche non annettersi la Groenlandia e Panama, ma se nessuno gli contrappone una strategia altrettanto forte e assertiva finirà comunque per imporre il controllo americano sull’estrazione di terre rare e di idrocarburi sull’isola artica e sulle rotte commerciali, alle condizioni che vorrà. L’Europa non può più permettersi di ignorare questa realtà, così come non può permettersi di osservare che Stati Uniti, Cina e Russia facciano pace di fatto spartendosi Groenlandia, Taiwan e Ucraina. Il presidente americano, con il suo linguaggio brutale e le sue ambizioni espansionistiche, non nasconde di voler ridisegnare il mondo secondo una logica di rapporti di forza più simile a quella di Putin e Xi che a quella delle democrazie liberali. L’Europa, dal canto suo, appare immobile, paralizzata da divisioni interne, un linguaggio burocratico e una totale assenza di leadership eletta e riconosciuta.

Non hanno maggiore forza i capi di governo dei singoli Paesi del Continente, anche quando si illudono di mostrare muscoli che non hanno: vengono coccolati se scondinzolano, altrimenti sono minacciati di dazi e ritorsioni, oltre che di gogna mediatica (vedi il caso Starmer).

Di fronte a tutto questo, la domanda fondamentale non è come rispondere a Trump, ma come rispondere a noi stessi. L’Europa vuole essere una potenza globale o preferisce restare un’aggregazione di Stati che delegano il proprio destino alle decisioni altrui? Un’Europa leader richiede un cambiamento strutturale. È tempo di eleggere direttamente un presidente dell’Unione Europea, legittimato dal voto dei cittadini e dotato dell’autorità per agire in nome di tutti gli europei. Solo così si potrà superare l’inerzia istituzionale e dotare l’Unione di quella credibilità e velocità di reazione che oggi manca. Un leader eletto non risolverà tutti i problemi, ma almeno darà all’Europa una direzione, un volto e una voce. Se continuiamo a nasconderci dietro i tecnicismi e le burocrazie, la storia ci relegherà ai margini, spettatori impotenti e paganti di un mondo dominato dai Trump, Putin e Xi, e dopo di loro da chi ne adotterà il metodo.



La domanda da farci oggi non è se gli europei sia in grado di rispondere alle minacce americane, ma se siano disposti a farlo. C’è chi magari preferisce l’idea di fare buoni affari con quel magnate e quell’oligarca, perché in fondo le briciole del grande banchetto che si apparecchia sono comunque enormi ricchezze capace di arricchire politici, imprenditori e finanche partiti politici, anche se a pagarne il prezzo sono la libertà, il modello di vita e società che faticosamente abbiamo costruito, la dignità degli individui e dei popoli. 

Si viveva bene anche da precettori o liberti greci nelle case dei ricchi padroni romani, beandosi del fatto che in fondo ora padroni e matrone vestivano e mangiavano alla greca. Ma la Grecia scomparve e così oggi può scomparire l’Europa, che in fondo non è nemmeno un vero continente geograficamente parlando, ma “solo” un’espressione culturale.

Dunque, per non essere ricordati come una generazione di europei nati liberi ma vissuti da lavapiatti altrui, bisogna alzare la testa e rinunciare a tutto ciò che ci sembra comodo e rassicurante (la dimensione nazionale, il piccolo mondo antico, l’attitudine al pacifismo, l’illusione di poter essere consumatori senza essere inventori, di avere diritti senza fabbriche) in nome di un nuovo Risorgimento europeo.

Serve un numero di telefono e un pulsante, e vedrete come i Trump, i Putin e gli Xi cambieranno atteggiamento nei confronti di noi europei. I veri difensori della sovranità siamo noi patrioti europei.