Jimmy Carter, progressista conservatore: la Storia riconoscerà i suoi meriti
Si è spento nella serata del 29 dicembre, all’età di 100 anni, il trentanovesimo Presidente americano e Premio Nobel per la pace James Earl Carter, detto Jimmy, in carica dal 1976 al 1980, quando lascia la Casa Bianca sconfitto da Ronald Reagan, dopo un solo mandato presidenziale reputato da molti come non all’altezza delle aspettative. Ciò nonostante, Carter diventerà poi una delle figure americane più rispettate e apprezzate in tutto il mondo anche grazie ai suoi sforzi per la pace e per la promozione dei diritti umani, attraverso il Carter Center, fondazione che ha occupato gli oltre 40 anni di vita del presidente dopo il suo quadriennio da Commander in Chief.
La politica statale
Carter nasce in Georgia, cresce in una casa senza tubature circondato da famiglie di colore povere: sarà l’unico presidente ad avere mai abitato in una casa popolare. Dopo oltre 10 anni nella Marina militare, torna a casa per gestire la coltivazione familiare di arachidi anche a seguito della morte del padre nel 1953. La sua carriera politica inizia nel 1963 da senatore statale per la Georgia, per poi arrivare nel 1970 a diventarne governatore, supportando le idee antisegregazioniste e difendendo l’affirmative action, nonostante l’influenza delle leggi di Jim Crow e del Ku Klux Klan fossero ancora molto rilevanti nelle comunità locali (il suo vicegovernatore sarà Lester Maddox, già governatore e forte sostenitore della segregazione).
Da governatore, spinge per una riforma della segregazione razziale, pur adottando una posizione di compromesso tra la volontà di garantire il progresso sociale (è un progressive evangelical, tradizione culturale cristiana che spingeva una lettura progressista della Bibbia rispetto alla giustizia sociale e alla guerra, mantenendo comunque una visione prettamente conservatrice rispetto ai temi della morale e della sessualità) e la forte componente conservatrice dello Stato.
Un altro programma importante del governatore Carter è lo zero-based budgeting, metodo di programmazione finanziaria nel quale ogni programma ed ogni spesa deve essere valutata individualmente egiustificata come se fosse proposta per la prima volta, al fine di ottimizzare le risorse e ridurre gli sprechi attraverso un esame dettagliato di ogni dollaro speso. Con questo programma, 300 agenzie statali vengono accorpate in 22 superagencies, generando forti risparmi per le casse dello Stato che vengono reinvestiti anche in una riforma carceraria e per finanziare equamente le scuole pubbliche anche nelle zone più arretrate dello stato.
Corsa (e arrivo) alla Casa Bianca
La discesa in campo di Jimmy Carter arriva come la tempesta perfetta, in un’epoca in cui le persone si fidano molto poco della classe politica tradizionale, a seguito dello scandalo Watergate. Anche a causa della debolezza del presidente Ford che a Richard Nixon aveva concesso la grazia, Carter si presenta come un outsider, l’onesto e moralmente integro governatore della Georgia non avvezzo al potere di Washington, dimostrando una straordinaria capacità di saper leggere un Paese che voleva un cambiamento forte rispetto alla classe politica del tempo (non a caso il suo slogan sarà “I will never lie to you”).
Quando sale alla guida del Paese, tutti sperano vivamente che Carter abbia successo. Nel suo secondo giorno da presidente, concede la grazia a tutti i resistenti alla leva della guerra del Vietnam. A causa della sua opposizione ad una serie di iniziative “pork barrel” del Congresso (volte a garantire spesa pubblica, spesso molto poco efficiente, ai territori di riferimento dei parlamentari) Carter si inimicherà i leader democratici, limitando e ostruendo la sua capacità di governo. portare a termine cambiamenti significativi, il che non significa però che Carter non abbia cambiato gli Stati Uniti o che non abbia ottenuto risultati.
Politica interna
Sul fronte interno, Carter potrebbe essere definito come un Democratico conservatore, posizione che all’epoca non risultava essere profondamente ossimorica come lo potrebbe essere oggi. Fu un presidente estremamente responsabile dal punto di vista fiscale (molto più di Reagan che in otto anni triplicò il debito americano); iniziò una serie di deregolamentazioni che fu poi ripresa dai suoi successori repubblicani riguardo il settore dei trasporti su gomma, su ferro e del settore dell’aviazione civile e commerciale; fece crescere una spesa militare che dalla fine della guerra in Vietnam era in decrescita.
La lotta all’inflazione fu uno dei principali problemi affrontati nel corso del suo mandato, che Carter affrontò cercando di riformare il settore energetico, per ridurre la dipendenza statunitense dal petrolio straniero e soprattutto dalle oscillazioni del suo prezzo, promuovendo misure all’epoca innovative come l’utilizzo di tecnologie per il risparmio energetico, la promozione delle energie rinnovabili e del nucleare civile come alternative al petrolio. Un successo di Carter fu la nomina di Paul Volcker alla Presidenza della Federal Reserve nel 1979: Volcker intraprese una politica monetaria molto restrittiva che, seppur impopolare, si dimostrò efficace nel lungo periodo nel controllare i valori dell’inflazione.
Politica estera
La linea di politica estera della Presidenza Carter fu assolutamente diversa rispetto ai suoi predecessori. Oltre ad un sincero filo-europeismo (elemento di discontinuità rispetto ai suoi predecessori e anche ad alcuni suoi successori), il presidente, infatti, credeva che la politica estera degli Stati Uniti dovesse basarsi sul rispetto dei diritti umani e dei valori democratici, condannando il supporto che gli Stati Uniti offrirono a diverse autocrazie in nome dell’anticomunismo, sottolineando come un regime autoritario anticomunista non potesse essere un’alternativa auspicabile del comunismo. Il suo principale fallimento, che influirà in modo rilevante sulla popolarità di Carter, sarà sicuramente la crisi dei 52 ostaggi statunitensi detenuti nell’ambasciata di Teheran per oltre un anno a seguito dei trattamenti medici concessi dal Presidente allo scià esiliato dalla Rivoluzione Iraniana del 1979.
Il suo successo principale di politica estera sono sicuramente gli accordi di Camp David del settembre 1978, che riuscirono a stabilire le basi per il trattato di pace bilaterale concluso tra Israele e l’Egitto nel marzo del 1979. Dopo 12 giorni di intensi colloqui, resi difficili anche dalle differenze personali tra il presidente egiziano Sadat e il primo ministro israeliano Begin, si raggiunse un accordo che prevedeva il reciproco riconoscimento tra Israele e l’Egitto ed il ritiro israeliano dal Sinai occupato dal 1967. Sulla questione israelo-palestinese, Carter fece scalpore quando diede alle stampe il suo libro Peace, not Apartheid, criticando aspramente le politiche di Israele nei confronti del popolo palestinese e sostenendo la necessità di dover aprire un dialogo col movimento di Hamas (il libro è del 2006).
Dopo la presidenza
Il presidente Carter è stato estremamente attivo dopo il suo mandato. Attraverso il Carter Center, si mise in gioco insieme alla moglie Rosalynn per porre fine ai conflitti, supportare le istituzioni e i processi democratici, promuovere i diritti umani, talvolta intervenendo direttamente per cercare di risolvere crisi internazionali. Per i suoi costanti sforzi diplomatici ed umanitari, nel 2002 ricevette il Premio Nobel per la Pace, forse il riconoscimento più importante per una persona plasmata profondamente dai valori cristiani, vissuta sempre con l’ideale di aiutare “the least of these”.
Tre modi in cui Jimmy Carter ha cambiato il mondo per il meglio
Un giudizio, in attesa della storia
In definitiva, la presidenza di Jimmy Carter, spesso liquidata come insipida e inefficace, merita una rivalutazione più articolata e approfondita. Nonostante alcune scelte e uno stile politico che alienarono una parte significativa della sinistra democratica, Carter si distinse per una serie di successi e riforme di ampio respiro, riconosciuti appieno solo con il passare del tempo.
Il “progressista conservatore” incarnò una visione politica inusuale e coraggiosa. Conservatore sul piano fiscale, ma decisamente liberale su temi come i diritti civili e la tutela dell’ambiente, pose al centro del suo mandato un forte impegno per la deregulation, cercando di affrontare le difficoltà economiche degli anni ’70 (tra i suoi successi più significativi vi furono la deregulation del settore aereo, che rese i viaggi più accessibili e competitivi, e quella del settore energetico, che contribuì a ridurre la dipendenza americana dal petrolio straniero).
Per molti aspetti, insomma, Carter fu un vero “deregolatore”, avviando trasformazioni che avrebbero sostenuto la crescita economica per decenni. Tuttavia, il suo pragmatismo e la sua inclinazione conservatrice non trovarono ampio consenso in un Partito Democratico sempre più orientato a sinistra. Allo stesso tempo, i Repubblicani, pur apprezzando in privato alcune sue politiche, erano restii a concedere riconoscimenti pubblici a un avversario politico.
Carter fu, in fondo, un presidente conservatore di fatto, sebbene appartenesse a un partito ormai avviato a spostarsi sempre più a sinistra. Le sue politiche incisero profondamente sull’economia e sulla società americana, ma il suo stile sobrio e la mancanza di una narrativa politica forte ne oscurarono i successi agli occhi dell’opinione pubblica.
Il tempo consentirà una lettura più equilibrata.
The Outlier: The Unfinished Presidency of Jimmy Carter – di Kai Bird
L’odissea politica di Carter si rivela una storia ricca e profondamente umana, segnata da formidabili successi e da dolorose avversità politiche. In questo racconto profondamente documentato e brillantemente scritto, il biografo vincitore del Premio Pulitzer Kai Bird narra con maestria la saga di Carter, svelandola come un punto di svolta tragico nella storia americana.
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