La mozione Pd-M5S-Avs sulla Palestina: retorica ideologica, vuoti giuridici e silenzi pericolosi

Partiamo da un presupposto: siamo d’accordo all’obiettivo di giungere alla costituzione di uno Stato di Palestina. Ma il riconoscimento di uno “Stato democratico palestinese” entro confini oggi inesistenti e impraticabili solleva interrogativi seri su coerenza, diritto internazionale e responsabilità politica.
Con una mozione congiunta, il Partito democratico, il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra hanno chiesto al governo italiano di riconoscere lo Stato di Palestina “entro i confini del 1967”, definendolo “democratico e sovrano”. L’iniziativa, presentata da Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli si inserisce nel solco di un rinnovato attivismo politico sulla crisi mediorientale, ma solleva più dubbi che soluzioni.
Confini mai esistiti, democrazia mai definita
La mozione poggia su due presupposti problematici. Il primo riguarda i cosiddetti “confini del 1967”: un’espressione spesso evocata, ma priva di reale fondamento giuridico. Quelle linee non furono mai confini internazionali, ma semplici linee armistiziali tracciate nel 1949, al termine della guerra arabo-israeliana. Nessuno Stato – né arabo né israeliano – li ha mai riconosciuti come definitivi.
Ragionare su quella base, dunque, significa adottare un linguaggio diplomaticamente impreciso e giuridicamente debole. Soprattutto se usato per giustificare un atto ufficiale come il riconoscimento di uno Stato.
Il secondo punto critico è la definizione della Palestina come “Stato democratico”. Una valutazione legittima sul piano ideale, ma gravemente carente sul piano fattuale. Attualmente, la Palestina è divisa tra Cisgiordania, governata da un’Autorità nazionale palestinese che non tiene elezioni da quasi due decenni, e Striscia di Gaza, controllata da Hamas, un movimento classificato come organizzazione terroristica dall’UE e da altri attori internazionali.
Approfondimento – Che cosa sono le “linee del 1967”?
Nel dibattito sul conflitto israelo-palestinese, si fa spesso riferimento ai “confini del 1967”, ma in realtà si tratta di un’espressione impropria. Quelle linee – note come linee armistiziali del 1949 – segnavano il cessate il fuoco tra Israele e i Paesi arabi al termine della guerra del 1948. Non furono mai riconosciute come confini internazionali ufficiali, né da Israele né dalla controparte araba.
Il Consiglio di sicurezza dell’ONU, con la Risoluzione 242 del 1967, non chiese un ritorno a quei confini, ma negoziati per definire frontiere sicure e riconosciute da entrambe le parti.
Democrazia o retorica?
Parlare di uno Stato palestinese democratico oggi significa ignorare deliberatamente il contesto politico reale: un’Autorità che reprime il dissenso, premia economicamente i familiari di condannati per atti terroristici e non ha condannato esplicitamente i massacri del 7 ottobre, e un’organizzazione come Hamas che pratica il controllo autoritario e fondamentalista sulla popolazione di Gaza.
Questo non significa negare il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione. Ma un riconoscimento pieno e incondizionato, senza vincoli su governance, sicurezza, diritti umani e convivenza, svuota di senso la parola “democrazia” e rischia di rafforzare attori che non condividono i valori dell’ordinamento liberale.

Focus – Che cos’è oggi l’Autorità nazionale palestinese?
L’Autorità nazionale palestinese (Anp) è un’entità di autogoverno nata nel 1994 dopo gli Accordi di Oslo. Gestisce parte della Cisgiordania e ha sede a Ramallah, ma dal 2007 ha perso ogni controllo sulla Striscia di Gaza, passata sotto l’autorità di Hamas.
Il presidente Mahmoud Abbas è in carica dal 2005, in assenza di elezioni democratiche da allora. L’Anp è stata spesso criticata per corruzione, repressione e autoritarismo, rendendo controversa qualsiasi definizione di “democratico” nel contesto palestinese attuale.
Due pesi e due misure
Infine, la mozione invoca l’embargo sulle forniture di armi a Israele (che l’Italia già non effettua), ma tace completamente sulla filiera di armamenti che alimenta il terrorismo palestinese, da Hamas alla Jihad islamica. Allo stesso modo, l’appello al diritto internazionale sembra valere solo in un’unica direzione: quando Israele colpisce obiettivi che i gruppi armati usano come basi operative (ospedali, scuole, moschee), si grida alla violazione; quando sono i miliziani a militarizzare quei luoghi, il silenzio è assordante.
Europa divisa – Come si è posizionata l’Unione europea sulla Palestina
L’UE sostiene ufficialmente la soluzione dei due Stati, ma non ha mai riconosciuto formalmente la Palestina come Stato. Alcuni membri, come Svezia e Ungheria, l’hanno fatto unilateralmente. Altri, come Italia, Francia e Germania, legano ogni decisione a negoziati diretti tra le parti.
Dopo la guerra di Gaza, si è aperta una discussione più accesa in Paesi come Spagna, Irlanda e Belgio, ma una posizione comune europea resta lontana.
Una mozione che rischia di indebolire il dibattito
In definitiva, la mozione Pd-M5S-Avs appare più come un gesto simbolico e ideologico che un contributo reale alla pace. Perché senza affrontare le contraddizioni interne alla realtà palestinese, senza chiarire il significato di “confini” e “democrazia”, e senza misurare le responsabilità di tutte le parti in campo, si finisce per produrre propaganda, non politica estera.
Una questione tanto complessa meriterebbe ben altro approccio: rigore, coerenza e capacità di tenere insieme diritti e sicurezza. Tre cose che, al momento, sembrano mancare nel vocabolario di una certa opposizione.