La piazza non sia una chiazza

Divisionismo, frazionismo, tafazzismo, massimo comun divisore. È la cifra attuale di una comunità liquida, quella italiana, come gli acquerelli. Il colore nelle sue tinte e sfumature scorre in alvei differenti ma senza identità. L’idea di Michele Serra di smuovere coscienze e corpi per una piazza per l’Europa è molto bella per vari motivi. Il primo è che bisogna scegliere da che parte stare e che identità avere. Chi siamo e dove andiamo è un dovere della nostra coscienza civica e, mai come in questo caso, comunitaria. Un giorno dedicato a questo ci interroga sulla nostra consapevolezza di quale futuro avremo. In più lo scendere in piazza costituisce un modo e mondo diverso da quello digitale che ci sta bombardando ad un ritmo difficilmente sostenibile. Certo evoca una nostalgia da boomers, da folle chiassose, a volte festanti, talvolta antagoniste, ma la fisicità, il camminare, il guardarsi in faccia senza Photoshop recupera radici, quelle che oggi l’Europa forse ha dimenticato, rifugiandosi in tecnocrazia e ragionieristica. E poi domandiamoci, ma se non europei che siamo?

L’unico rischio di questa piazza è che sia di parte, univoca, non plurale. Che sia la solita cosa di sinistra, il noi siamo diversi invece che uguali. È proprio la perdita di eguaglianza la vera crisi del popolarismo in Italia, a discapito delle ragioni unitarie che hanno tenuto insieme il sistema politico nei primi 50 anni dal dopoguerra. Questa piazza deve essere plurale, con meno e non più sigle, ampia, la più ampia possibile. In caso contrario non sarà una piazza, un agorà sull’Europa, ma un corteo di parte, una chiazza di colore ma non una piazza rappresentativa di un Paese. Oggi la Peace&Love del ’68 è finita nel Donbass, a Gaza, a Teheran. L’Europa oggi è circondata, e si scopre fragile, debole, schiacciata tra incudine americano e martello senza falce russo. Questa Europa si deve alzare dal basso, dai cittadini, non tirata dall’alto da Bruxelles. Forse Parigi non val bene una messa, ma L’Europa si.