La strage di Sumy: Trump lava le mani sporche di sangue di Putin

L’attacco russo a Sumy, città ucraina vicino al confine con la Russia, è una delle stragi più gravi dell’attuale fase della guerra. Due missili balistici con bombe a grappolo hanno colpito aree civili in pieno giorno: 34 morti, tra cui due bambini. Un massacro pianificato, non un errore. Un atto deliberato, lanciato mentre la popolazione era impegnata nella vita quotidiana.
Non ci sono equivoci: la scelta del bersaglio, l’orario dell’attacco e l’uso di armi vietate raccontano un’intenzione chiara. La Russia ha voluto colpire i civili per terrorizzare, per piegare psicologicamente la resistenza dell’Ucraina. È la strategia dell’impunità, già vista decine di volte dal 2014 a oggi. Ma ciò che sconcerta oggi non è solo l’azione russa. È la reazione – o meglio, la copertura – che l’Amministrazione americana dà a Putin.
Le parole di Trump: un manifesto della resa morale
«La guerra tra Russia e Ucraina è la guerra di Biden, non la mia. Io sono appena arrivato, e durante i miei quattro anni non ho avuto problemi a impedirla. Putin, e tutti gli altri, rispettavano il vostro Presidente! (…) Se le elezioni del 2020 non fossero state truccate, quella guerra non sarebbe mai iniziata. Zelensky e Joe Biden hanno fatto un lavoro orribile nel permettere che questa tragedia iniziasse».
Queste sono le parole del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Non una svista, non un’uscita infelice. Ma una dichiarazione politica precisa. Invece di condannare l’attacco di Sumy, Trump lo rimuove dal discorso, lo derubrica a incidente collaterale in una narrazione autoreferenziale dove l’unico tema è lui stesso. La guerra, dice, è colpa di Biden. Colpa dell’Ucraina. Putin? Nemmeno nominato come responsabile. Anzi: descritto come un leader che “rispettava il Presidente”.
Trump, in sostanza, adotta le stesse giustificazioni dei propagandisti del Cremlino. Minimizza la strage, sposta la colpa su Washington e Kyiv, e si presenta come unico garante della pace, a patto però che gli venga riconosciuta la legittimità del potere e della narrazione. È un capovolgimento totale della realtà: il paese invaso viene accusato di “aver fatto iniziare la guerra”. Un leader democraticamente eletto viene accusato di “permettere” l’invasione. La Russia, quella vera responsabile, scompare dal quadro.
La replica di Kaja Kallas: “L’errore è attaccare l’Ucraina”
Per fortuna non tutti in Occidente tacciono. Kaja Kallas, l’alta rappresentante UE per la politica estera, ha risposto così: «Penso che sia nell’interesse di tutti che la Russia si renda conto di aver commesso un errore, ma ha commesso un errore attaccando l’Ucraina. E non può vincere, perché la volontà del popolo ucraino non è stata spezzata. È chiaro ormai che, se si vuole che le uccisioni finiscano, si deve fare pressione sulla Russia, che è la vera responsabile».
Una dichiarazione che non lascia spazio a interpretazioni ambigue. Nessuna “equidistanza”, nessun gioco di parole. Kallas ribadisce un principio che dovrebbe essere ovvio: non si mette sullo stesso piano l’aggressore e l’aggredito. Non si finge che una guerra inizi “da sola”, per errore o per fatalismo geopolitico.
L’equiparazione immorale
E invece, anche in Italia, si continua a normalizzare questa distorsione. Ci sono quelli come Claudio Borghi della Lega, o gli esponenti del M5S, ma anche quelli di AVS, che paragonano le vittime civili ucraine ai soldati russi caduti in battaglia. Come se un bambino dilaniato da una bomba a grappolo avesse lo stesso peso morale di un invasore armato. Come se la guerra fosse una tragedia astratta, senza responsabilità, senza causa.
Questa è la vera resa morale: la finta neutralità pacifista. La connivenza con l’aggressore travestita da equilibrio. Il dire “sono tutti uguali”, quando uno dei due ha invaso l’altro, lo bombarda ogni giorno e commette crimini di guerra documentati.
Un appello all’Europa
L’Europa non può più fingere. Le immagini di Sumy – corpi tra le macerie, vite spezzate in un istante – non sono eccezioni. Sono il risultato diretto di un’aggressione continua, impunita. E finché gli Stati Uniti e i loro alleati non imporranno un costo reale alla Russia, queste stragi si ripeteranno.
Zelensky lo dice da tempo: Putin non cerca accordi, cerca il cedimento dell’Occidente. E Trump, con le sue parole, gli dà una mano. Perché chi giustifica l’aggressore, chi sposta la colpa sulle vittime, chi parla di rispetto per chi bombarda i civili, ha già scelto da che parte stare.
La domanda non è più se fermare la guerra. La domanda è: da che parte della storia vogliamo stare?