L’eterno Biden, politico di razza: che impatto ha avuto la sua presidenza?
Il 20 gennaio si chiuderà ufficialmente il mandato presidenziale di Joe Biden, chiudendo una carriera politica eterna, iniziata nel 1970 come consigliere della contea di New Castle, ma partita a livello nazionale due anni dopo con l’elezione a senatore del Delaware in un’elezione che sembrava già persa, con Biden che dovette recuperare uno svantaggio iniziale di quasi 30 punti nei sondaggi, divario colmato grazie alla sua straordinaria energia e capacità di saper connettere con gli elettori e di saper trovare sintesi tra posizioni diverse.
Per 36 anni rimarrà senatore, promuovendo una serie di leggi estremamente importanti, tra cui il Violence Against Women Act, che portò allo stanziamento di 1.6 miliardi di dollari per prevenire e perseguire gli atti di violenza contro le donne, e il Violent Crime Control and Law Enforcement Act, che portò all’assunzione di centomila poliziotti e a 10 miliardi di fondi per le carceri (entrambe le leggi sono del 1994, sotto il Presidente Bill Clinton), dimostrando la sua personalità moderata e l’elasticità di saper sposare cause progressiste come la violenza sulle donne e al tempo stesso dare forte attenzione al tema del crimine e della sicurezza.
Dopo due tentativi falliti per ottenere la candidatura presidenziale democratica nel 1988 (venne scelto Michael Dukakis, sconfitto da George H.W. Bush) e nel 2004 (il vincitore fu John Kerry, che non riuscì a battere George W. Bush), nel 2008 si ritirò molto presto dalle primarie salvo poi essere scelto da Barack Obama come candidato vicepresidente, scelta funzionale a portare una voce moderata (e bianca) al ticket, oltre che un senatore di lunghissima esperienza e dotato di grande capacità di risolvere le situazioni di stallo in parlamento, qualità che venne sfruttata per poter passare diversi interventi importanti, soprattutto nella prima fase della presidenza Obama, come l’American Recovery and Reinvestment Act del 2009, il pacchetto di stimolo all’economia a seguito della crisi finanziaria dell’anno precedente.
Nel 2020 arriva alla Casa Bianca dopo aver formato una coalizione amplissima e dopo aver lavorato incessantemente per ottenere il voto di tantissimi appartenenti alla classe media e ai lavoratori dell’industria (Biden sarà poi il primo presidente a partecipare attivamente ad uno sciopero della United Auto Workers), investimento che porterà ben 81 milioni di voti a Biden, il massimo numero in assoluto mai ottenuto da qualsiasi candidato alla presidenza. Per poter valutare quale sarà la considerazione che si avrà della sua presidenza, è importante analizzare i più importanti interventi in politica interna ed estera.
La politica interna
Tre sono gli atti rilevanti che dobbiamo considerare: il CHIPS act, l’Inflation Reduction Act e la Bipartisan Infrastructure Bill. Queste tre misure sommate hanno portato ad investimenti pubblici di oltre 1600 miliardi di dollari, e può essere considerato il più grande piano di spesa pubblica dal New Deal di Franklin Delano Roosevelt, anche se molti investimenti potrebbero essere bloccati o venire implementati dalla prossima amministrazione, andando ad alterare anche quella che sarà la considerazione che la storia avrà della presidenza Biden.
Con la prima legge (in cui CHIPS è acronimo di Creating Helpful Incentives to Produce Semiconductors, in cui però il nome è già abbastanza evocativo) il Governo ha stanziato decine di miliardi di dollari per incentivare la produzione privata di chips e semiconduttori sul territorio americano, e ha generato richieste da parte delle imprese molto superiori rispetto ai fondi stanziati da parte dell’amministrazione. La legge può anche essere letta come mossa di politica estera, volta a cercare di limitare il dominio cinese sul mercato dei semiconduttori, e proprio per questo è probabile che Trump, che non si è mai schierato fortemente a favore dell’abrogazione delprogramma, possa tenere in vita questi incentivi.
L’Inflation Reduction Act del 2022 è uno dei più grandi piani di investimento nell’energia rinnovabile, nella transizione verde e nella lotta all’inflazione che ha colpito profondamente gli Stati Uniti durante la presidenza Biden, e prevede circa 740 miliardi di dollari di nuove entrate previste, derivanti dall’entrata in vigore dell’imposta minima al 15% per le imprese che guadagnano più di un miliardo di dollari, e anche attraverso una importante riforma che permette al programma federale Medicare di poter negoziare direttamente i prezzi di diversi tipi di medicinali. Questa misura permette sia al governo sia ai cittadini di risparmiare, e ha portato, ad esempio, alla fissazione del prezzo dell’insulina per gli anziani ad un massimo di 35 $ al mese per le prescrizioni, un risparmio sensibilissimo per chi in media prima della riforma pagava oltre il triplo.
Il programma prevede una forte riduzione del deficit federale per combattere l’inflazione, ma al tempo stesso prevede circa 400 miliardi di dollari di investimenti per la transizione ambientale, che si traducono in crediti d’imposta per la produzione di energia pulita (51 miliardi per la produzione da fonti rinnovabili e 30 miliardi per l’energia nucleare, oltre a 70 miliardi di altri crediti previsti), oltre a diversi contributi volti anche ad incentivare la produzione americana o di partner affidabili, come ad esempio il contributo per l’acquisto di macchine elettriche le cui batterie contengano minerali estratti in America o in paesi partner legati da accordi di libero scambio con gli Stati Uniti.
Il futuro di questa legge, di fronte al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, non è assolutamente scontato: Trump ha ripetutamente criticato la legge, definita come eccessivamente “liberal” e portatrice di troppe nuove tasse. Al tempo stesso, però, durante l’amministrazione Biden le aziende hanno sfruttato i diversi incentivi previsti dall’IRA per poter attivare centinaia di miliardi di dollari di investimenti in tutto il paese, soprattutto in distretti vinti dai repubblicani nelle ultime tornate elettorali, e questo dato potrebbe generare l’opposizione di quei rappresentanti che con i fondi dell’IRA vedono il proprio territori più ricco e sviluppato economicamente, nonostante in questo momento sembri ferma la volontà del presidente Trump di fermare gli investimenti in quella che viene definita la “Green New Scam”, o quantomeno di dirottare quei fondi verso altre voci di spesa.
La Bipartisan Infrastructure Bill rappresenta un investimento storico nelle infrastrutture degli Stati Uniti, con un finanziamento totale di circa 1.2 trilioni di dollari, destinati a modernizzare e migliorare reti e servizi fondamentali in tutto il paese, tema particolarmente sentito nel paese, che ha portato la legge ad essere approvata con ben 69 voti al Senato, di cui 17 repubblicani. L’obiettivo principale della legge è aggiornare le infrastrutture fisiche e tecnologiche, comprendendo il potenziamento di strade, ponti, ferrovie, trasporto pubblico, aeroporti, reti elettriche e banda larga, ma anche l’espansione dell’infrastruttura per veicoli elettrici e la gestione dell’acqua. Una parte significativa dei fondi è destinata a sostenere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, con investimenti nella resilienza climatica e nella sostenibilità.
Rispetto a questi importanti interventi legislativi, a Biden è stata però imputata l’incapacità di poter contenere il livello dei prezzi, con l’Inflation Reduction Act che avrà effetto soprattutto nel medio-lungo periodo e che non ha inciso immediatamente sul potere d’acquisto che gli americani vedono sempre più scarso. È importante anche menzionare la lenta risposta del Presidente sul tema dell’immigrazione, con gli Stati Uniti che accolgono ad oggi quasi dieci milioni di immigrati irregolari, generando una crisi nelle strutture di accoglienza e nelle comunità locali. Sul tema ha influito sicuramente il divieto imposto da Trump ai repubblicani di votare a favore di una BorderBill che avrebbe probabilmente risolto il problema e che avrebbe conseguentemente garantito a Biden una importantissima vittoria in termini di politica interna.
La politica estera
Riguardo la politica estera, Biden aveva incentrato la sua campagna elettorale principalmente sulla politica interna, con il Covid e le sue conseguenze economiche a farla da padrone rispetto ad un quadro globale che, visto oggi, poteva essere considerato come relativamente tranquillo, al di fuori della guerra commerciale a suon di dazi con la Cina che ha caratterizzato il primo mandato di Trump.
Invece nel corso del suo mandato l’ex senatore del Delaware ha dovuto affrontare due conflitti come quello in Ucraina e quello israelo-palestinese, oltre al ritiro completo dall’Afghanistan, iniziato almeno in parte dalla precedente amministrazione.
In Afghanistan Biden ha registrato una sonora sconfitta agli occhi dell’opinione pubblica, con un ritiro gestito in modo frettoloso che non ha impedito in nessun modo il ritorno dei talebani al potere e che anzi ha lasciato bloccate almeno diciassettemila cittadini vicini agli statunitensi, o addirittura a persone con la doppia cittadinanza, rei di non aver completato tutti i passaggi burocratici negli stretti tempi previsti per il ritiro, inefficienza che ha portato alle drammatiche scene dei cittadini afghani che, in una ricerca disperata di salvezza e di libertà, inseguono e si aggrappano alle ali degli ultimi aerei militari in partenza verso gli Stati Uniti. Dopo il ritiro, gli approval rating di Biden crolleranno e non raggiungeranno più i livelli precedenti.
Rispetto alla guerra in Ucraina, invece, Biden ha avuto almeno tre meriti importantissimi: l’aver individuato e avvertito la leadership ucraina dei piani di Putin; di aver supportato incessantemente l’Ucraina, con un totale di almeno 88 miliardi di dollari di aiuti militari e finanziari; di aver compattato la Nato e la maggior parte del panorama politico europeo sulla necessità esistenziale di dover sostenere in ogni modo possibile l’eroica resistenza ucraina, impegno che ha portato all’accordo sul congelamento degli asset russi colpiti da sanzioni al fine di utilizzarne i proventi e le rendite per poter finanziare Kiev e alle sanzioni che stanno cominciando a far vedere i loro effetti, con Gazprom che è in procinto di licenziare 1600 dipendenti del suo quartier generale a seguito del brusco calo delle entrate derivante proprio dalle sanzioni occidentali, che hanno portato al colosso del gas russo perdite nel 2023 di 6,9 miliardi di dollari.
Per chiudere, sulla questione israelo-palestinese la presidenza Biden è stata forse poco energica nell’imporre la sua volontà nel corso del 2024, risultando incapace di poter spiegare politicamente la convivenza di finanziamento ad Israele e volontà di arrivare ad un cessate il fuoco, con conseguenze elettorali particolarmente importanti, si pensi al Michigan, dove i democratici hanno perso in città come Dearborn, dove il 55% della popolazione ha origine mediorientale. Il cessate il fuoco delle ultime ore ricorda la liberazione degli ostaggi in Iran, liberati non appena Ronald Reagan divenne ufficialmente Presidente. Biden stesso ha riconosciuto la stretta collaborazione tra la squadra presidenziale e la squadra di transizione di Trump sul tema, ma ha voluto sottolineare come l’accordo si basi su un framework proposto dalla sua amministrazione nel mese di maggio, e che quindi il merito dell’accordo debba essere attribuito a lui.
Conclusioni
Alla fine della sua carriera politica, oltre che del suo mandato, Joe Biden si staglia come l’ultimo vero politico con la “P” maiuscola, in un’epoca che sembra aver smarrito il significato della politica come arte del compromesso e della visione a lungo termine. Le sue politiche, intrise di pragmatismo e ideali, sono state un tentativo di ristabilire un equilibrio tra le esigenze del presente e la responsabilità verso il futuro, nel tentativo di riallacciare un’America sempre più divisa.
La sua eredità politica potrà essere valutata, a mio avviso, solo tra qualche anno, dalle sue politiche interne, ricche di investimenti e riforme, paragonabili al New Deal in termini di espansione, hanno provato a rendere l’America più competitiva e green allo stesso tempo, ma la vera domanda è: quanto di questi grandi piani eredità resisterà all’urto della nuova amministrazione? Sul piano della politica estera, Joe Biden ha incarnato l’ultima grande speranza di un’America capace di guidare il mondo con fermezza e dialogo, anche nei momenti più turbolenti. Mentre la gestione del ritiro dall’Afghanistan rimarrà un’ombra sulla sua presidenza, il suo impegno nella guerra in Ucraina e la capacità di mantenere coesa la NATO testimoniano una visione globale che sa farsi forza nella cooperazione internazionale.
La storia, in definitiva, avrà bisogno di tempo per decidere se Biden sarà ricordato come l’architetto di un’America rinnovata o come il presidente che ha cercato di raddrizzare una nave già in balia delle tempeste.