L’Unione Europea e l’attenzione al benessere degli animali
“La civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali”, questa celebre frase di Gandhi è oggi più che mai attuale. Nel contesto del cambiamento climatico e di un generale deterioramento degli ecosistemi del Pianeta, le regole adottate a tutela dei non umani rivestono un ruolo centrale. È indubbio che ormai, come certificato in più occasioni da Eurobarometro, la percentuale di cittadini, quanto meno in Europa, che presta attenzione alle modalità di trattamento degli animali è in costante crescita. Sul punto, il primato dell’Unione Europea in questo particolare settore di regolamentazione è riconosciuto a livello internazionale e la nomina, inedita, di un Commissario europeo al benessere degli animali, nel nuovo esecutivo UE, ne rappresenta un punto di arrivo ma anche di rinnovato interesse.
Gli animali nel Vecchio Continente
L’Europa unita è la prima regione del mondo ad aver riconosciuto gli animali non umani come “esseri senzienti”. Infatti, in continuità con alcune previsioni costituzionali dei suoi Membri – tra tutti la Germania, che ha inserito negli anni Novanta gli animali nella propria legge fondamentale – il Trattato di Lisbona del 2008, all’articolo 13, prevede che in quanto esseri senzienti abbiano delle esigenze di cui l’Unione deve “tenere conto” nella “formulazione e nell’attuazione” delle politiche in diversi ambiti, tra cui l’agricoltura, il mercato interno e la ricerca. Questa disposizione è il frutto di un’evoluzione della questione menzionata per la prima volta già nel 1992 in un apposito allegato al Trattato di Maastricht.
L’UE, nel corso dei decenni, ha adottato diverse norme volte a garantire, soprattutto ma non solo, gli animali da reddito, vale a dire quelli impiegati nella produzione di alimenti e altri beni di consumo. Da questa prospettiva, proprio l’allevamento, parte del più ampio – e molto ben sussidiato – comparto dell’agricoltura, è oggi sotto la lente d’ingrandimento degli attivisti per il clima a causa delle emissioni prodotte che lo collocano in vetta alla lista dei settori produttivi più impattanti in termini di cambiamento climatico. Un primato negativo che ha imposto, al pari del crescere dell’attenzione dell’opinione pubblica, l’adozione di regole sempre più stringenti volte a garantire, ai non umani, condizioni minime di benessere durante la loro (breve) vita quali risorse produttive.
L’inedita delega al benessere animale ad un membro della Commissione
Non stupisce quindi che la rinnovata Presidente della Commissione Von Der Layen abbia deciso, per la prima volta, di istituzionalizzare la questione del benessere animale aggiungendola alle deleghe del Commissario per la Salute. Una scelta che segue le tantissime iniziative promosse negli anni da organizzazioni non governative e cittadini, volte a conferire maggior attenzione ad un tema apparentemente residuale ma che trova nella morale pubblica e nell’innovazione tecnologica dei processi produttivi un decisivo punto di partenza.
La scelta di accorpare benessere animale e salute, poi, non è scontata e mostra una visione confacente all’ormai diffuso approccio One Health, che vede nell’integrazione della salute umana, animale e del pianeta un metodo di analisi, programmazione e risposta ai problemi della società moderna. Da questo punto di vista, la pandemia da Covid che, è bene ricordarlo, si è originata proprio da un virus frutto di un salto di specie (animale – uomo) conferma l’attualità del tema.
Un piano formale e uno sostanziale
Sul piano istituzionale, e si potrebbe dire politico, la menzionata delega è un certo passo in avanti. Dimostra attenzione al settore, riconoscimento della rilevanza della questione, volontà di procedere in modo più spedito verso il necessario aggiornamento del composito quadro normativo unionale. Ma, come spesso accade, la forma spesso maschera poca sostanza. In questo senso, il Commissario delegato è, come anticipato, quello alla salute, ovvero l’ungherese Olivér Várhelyi, politico di lungo corso molto vicino al Premier magiaro Orbán.
Senza voler lasciare troppo spazio ai pregiudizi, alla luce delle politiche in corso di attuazione in Ungheria in materia di migranti e minoranze, sembra chiaro che la prospettiva di un politico, già Commissario all’allargamento, rispetto ad un tema controverso con implicazioni anche economiche rilevanti com’è quello del benessere animale, sia destinata a scontrarsi con le istanze popolari che vogliono più tutele e quindi norme più stringenti per i produttori. A riprova di ciò basta leggere la lettera con cui la Presidente delega la questione; molti e giusti rinvii alle politiche in materia di salute – su cui i Trattati UE conferiscono all’Organizzazione scarse competenze – e un generico incarico di “modernizzare le regole sul benessere animale” avendo come punto di riferimento “sostenibilità, profili etici e considerazioni economiche” oltre che le “aspettative dei cittadini”.
Tanto tuonò che piovve?
Le premesse non sembrano rispondere alla crescente richiesta di attenzione che proviene dall’opinione pubblica europea. Quel che è certo è che un passo in avanti è stato compiuto e che da qualche parte occorreva iniziare. Le aspettative sono alte, il lavoro da fare non manca e il bisogno di innovazione, in un comparto tradizionalmente conservatore com’è quello, lato sensu, dell’agricoltura, costituiscono gli ingredienti di una possibile rivoluzione normativa come anche di un immobilismo permanente. Al Commissario ungherese, dunque, l’arduo compito di orientare il futuro del settore.