Meloni europeista? La forza di gravità vale anche per i sovranisti
C’è qualcosa di ironico, quasi teatrale, nel vedere Giorgia Meloni, un tempo regina delle piazze contro Bruxelles e paladina delle crociate anti-euro, scoprire all’improvviso che “uniti si va più lontano”. Pare che l’Europa, tanto odiata quanto evocata, sia diventata la bussola di chi fino a ieri denunciava ogni cedimento come un tradimento della patria. Una difesa comune, dice oggi la premier, è necessaria; una politica estera condivisa è la chiave. Prima era lesa maestà, oggi è “realismo”. Cosa sarà successo? Forse è successo che governare è molto meno comodo di agitare slogan in campagna elettorale.
Meloni e la retorica delle “differenze”
È finita, o almeno è appesa a un filo, l’era delle “sovranità assolute”. Lo capisce persino chi urlava “no all’Europa dei burocrati” e ora si ritrova a invocare una difesa comune. Giorgia Meloni, con il garbo da ex euroscettica pentita, cita Aldo Moro e rispolvera la retorica delle “differenze”. “L’Europa sia la casa comune per le differenze” dice, ma lo fa con l’accortezza di chi sa che fuori da quella casa si finisce al freddo della storia. Restare sovranisti, sì, ma solo nel salotto europeo, che alla fine accoglie tutti, anche i più scettici.
Draghi: la voce del realismo europeo
Se Meloni gira con il libretto delle citazioni, Mario Draghi preferisce una sintesi più chirurgica: “Siamo troppo piccoli per affrontare il mondo da soli”. Non è romanticismo, è sopravvivenza. Per Draghi, l’Europa ha bisogno di uno scossone, di un cambio radicale. Debito comune, difesa integrata, una strategia economica unitaria: parole che suonano come fantascienza ai nostalgici del sovranismo, ma che ormai sono la cruda realtà. Quello che in passato sembrava il programma di un federalista visionario oggi è, con buona pace di tutti, l’unica strada.
Il problema? Non è l’Europa, ma le sue istituzioni che si trascinano stanche. L’Europa è necessaria ma spesso impacciata, come un gigante che inciampa sulle sue stesse scarpe.
L’Europa è il futuro che resiste
Propaganda, resistenze, giravolte retoriche: nonostante tutto, l’Europa resiste. Perché l’Europa non è un progetto, è un destino inevitabile. Quando anche chi ha passato anni a combatterla si ritrova a difenderla, significa che la realtà è diventata schiacciante. Uniti o irrilevanti: è questo il bivio, e oggi sembra finalmente chiaro.
Il vero problema, semmai, è che questa consapevolezza arriva sempre troppo tardi. Servono guerre, crisi economiche, emergenze planetarie per far capire ciò che Draghi ripete con sobria chiarezza: “Se l’Europa non si muove, si spegne”. È insieme un avvertimento e una promessa. Che si ascolti o meno, resta da vedere. Ma almeno, per ora, possiamo sorridere al paradosso di vedere Giorgia Meloni farsi portavoce dell’Europa unita: a dimostrazione che il tempo, o forse la forza di gravità di Bruxelles, cambia davvero tutti.