Perché Erdogan è il vincitore geopolitico del 2024, e perché temerlo
Come si fa ad essere membro della NATO, partner associato dei BRICS, paese candidato all’adesione all’UE e leader del Diyanet islamico internazionale? La domanda è pertinente e va rivolta a Recep Tayyip Erdogan, leader della Turchia dal 2003.
Il ruolo di jolly della diplomazia internazionale è sempre stato congeniale al Presidente turco, maestro ed eccellente interprete della politica del multilateralismo spinto fino ai suoi estremi più contraddittori. Il ra’is (in turco reis, “capo”) negli anni ha ritagliato al suo paese una dimensione di potenza politica e militare imprescindibile per chiunque voglia affacciarsi in Medio Oriente, agendo con indipendenza strategica assoluta senza mai rinunciare al dialogo con i principali attori dello scacchiere globale.
Tra pragmatismo e ambizioni neo-ottomane
Abbiamo recentemente avuto dimostrazione pratica del modus operandi di Erdogan in occasione del regime change avvenuto in Siria. È stato infatti decisivo l’appoggio logistico e militare turco al movimento HTS e al Governo di salvezza siriano, guidato dall’ormai celebre Abu Muhammad Al Jolani, che in pochi giorni ha rovesciato il cinquantennale regime di Damasco.
Nella confusione generale, le truppe turche entravano nella Siria curda, in piena coerenza con la ventennale lotta al PKK; e il Presidente, piuttosto che alzare i toni dello scontro, ha dato il via a un tourbillon diplomatico. Prima gli USA, poi la NATO e infine l’UE (con la visita di Ursula Von Der Leyen) hanno dovuto riconoscere alla Turchia il ruolo di king-maker degli equilibri mediorientali, legittimando la politica neo-imperialista di Erdogan.
Un progetto geopolitico ambizioso e temibile
Alla cerimonia di premiazione del TÜBITAK e dell’Accademia delle Scienze Turca del 18 dicembre, Erdogan ha dichiarato: “La Turchia è più grande della Turchia”. Questa frase riassume il grande obiettivo geopolitico del sultano: la riproposizione di una sfera di influenza neo-ottomana guidata da Ankara, proiettata su più direttrici, dalla Libia alla Siria, fino al Corno d’Africa e all’Asia centrale.
Non dobbiamo illuderci di poter “addomesticare” Erdogan, il quale, con il suo pragmatismo e la sua retorica teocratica, rimane uno dei più scaltri scacchisti politici dell’era moderna. Un leader che, nel profondo, è nemico nostro quanto del nostro nemico.