Putin gioca a scacchi, Trump a dadi: l’urgenza di un’autodifesa europea

Piercamillo Falasca
13/02/2025
Orizzonti

Il conflitto in Ucraina ha rivelato in modo drammatico che l’Europa non può più fare affidamento su un ordine internazionale forgiato nel dopoguerra e sulla certezza di un alleato-ombrello oltreoceano. Mentre i missili russi colpiscono città, infrastrutture e civili a pochi chilometri dai nostri confini, la strategia del Cremlino rimane la stessa di sempre: distruggere l’integrità territoriale dell’Ucraina, mantenendo i territori occupati e trasformando il resto del Paese in una sorta di “seconda Bielorussia”, una realtà debolissima sul piano militare e politico, con un governo amico di Mosca e ostile alla NATO.

La testimonianza di Tatiana Stanovaya, senior fellow presso il Carnegie Russia Eurasia Center e fondatrice di R.Politik, aiuta a cogliere la logica di fondo delle mosse di Putin. Nonostante l’apertura di colloqui con Donald Trump sia già trapelata in via ufficiale e tramite canali diplomatici, la Russia si sta limitando a offrire concessioni temporanee in cambio di un cessate il fuoco che Trump potrebbe presentare come un suo trionfo. In realtà, nei piani del Cremlino, queste aperture non ne scalfiscono l’obiettivo finale, vale a dire piegare definitivamente l’Ucraina e farla rientrare nella propria sfera di influenza. Stanovaya spiega che Putin è disposto a tollerare persino un fallimento di questi negoziati con Washington, perché ritiene che l’inevitabile stanchezza dell’Occidente e le divisioni fra gli alleati lasceranno comunque campo libero alle forze russe nel medio e lungo termine.

È un gioco di pazienza e di calcolo, in cui l’Europa svolge però il ruolo del grande assente: eppure, è proprio il Vecchio Continente a dover gestire i milioni di rifugiati e a fare i conti con il taglio alle forniture di gas russo, con l’aumento delle spese militari e con il drammatico impatto economico di un conflitto che si consuma sul proprio territorio. L’iniziale illusione che la moral suasion potesse fermare Putin si è scontrata con l’evidenza che il Cremlino è pronto a tollerare sanzioni, isolamento e perdite ingenti pur di realizzare le proprie ambizioni, anche perché a est ha un gigante (la Cina) che non ha mai smesso di sostenerlo. Da parte loro, gli Stati Uniti hanno mostrato come la linea politica possa cambiare radicalmente a seconda dell’amministrazione in carica: basta un nuovo presidente, magari desideroso di ridurre l’impegno oltremare o di ottenere “vittorie” veloci nella diplomazia internazionale, per assistere a un ribaltamento strategico non sempre favorevole agli europei.

È proprio questa incertezza che dovrebbe indurre le classi dirigenti europee a una presa di coscenza e a una profonda assunzione di responsabilità: l’unica via d’uscita è un’Europa in grado di badare a se stessa. La discussione sull’eventualità di un esercito comune europeo non è più un tema di nicchia: rappresenta il tentativo di dare una risposta unitaria e concreta allo sgretolamento – ormai pienamente in atto – dell’ordine ereditato dalla Seconda Guerra Mondiale. Non si tratta soltanto di respingere l’invasione russa nel presente, ma di prevenire futuri conflitti in un contesto globale in cui le grandi potenze – dagli Stati Uniti alla Cina – seguono strategie che non sempre coincidono con gli interessi europei.

Il punto di fondo è che l’Europa, oggi, si trova a un bivio: può continuare a sperare che gli equilibri di ieri reggano l’urto della storia, oppure prendere atto che le regole del gioco sono cambiate. Putin gioca su piani lunghi, mirando a ridisegnare i confini a Est, mentre Trump, o chiunque ambisca alla Casa Bianca in futuro, può cambiare politica estera con un semplice colpo di penna. In questo quadro, l’Europa rischia di pagare il prezzo più alto in termini di sicurezza, risorse economiche e stabilità politica.

Per spezzare questa dinamica, non basterà più alcun appello astratto ai principi democratici o alla “credibilità internazionale”. Se l’Europa non vorrà essere travolta, dovrà trovare la forza per difendersi, sottraendosi a qualsiasi forma di ricatto militare o energetico, e soprattutto rendendosi impermeabile alle fluttuazioni dell’agenda politica statunitense. L’idea di un esercito comune, di una maggiore integrazione e di una politica estera condivisa non è più un’utopia federalista, ma una necessità storica. Il futuro dell’Europa dipende infatti dalla sua capacità di muoversi con unità di intenti e mezzi adeguati, assumendosi in prima persona la responsabilità della propria sicurezza.