Solo l’Occidente conosce la storia?

Emanuele Pinelli
18/03/2025
Radici

Solo l’Occidente conosce la storia? Ovviamente no. Ma è curioso che dei funzionari ministeriali, nel preparare le nuove linee-guida per le scuole elementari e medie, abbiano sentito l’esigenza di recuperare questa frase di Marc Bloch (uno studioso scomparso nel 1944, quando il divario tra Occidente e resto del mondo era piuttosto diverso da come è oggi). È d’obbligo la solita premessa: le linee-guida ministeriali non hanno alcun impatto concreto su quello che viene insegnato ai nostri figli. La libertà di scelta didattica del singolo docente regna sovrana.

Documenti di questi tipo servono, perciò, a segnalare l’orientamento ideologico del governo in carica molto più che a modificare davvero ciò che avviene nelle aule. Servono a promuovere tendenze culturali nuove (come l’uso critico dell’IA), a recepirne di già esistenti (come l’esaltazione delle grandi donne del passato, prudentemente depurate di ogni tratto della loro personalità che potrebbe imbarazzare il femminismo attuale) o a riscoprirne di dimenticate (come il Risorgimento). Ma l’effetto si avverte più nel dibattito pubblico tra adulti che non nelle lezioni ai giovanissimi.

Inoltre, anche stavolta come in passato, la maggior parte delle osservazioni è ispirata al normale buonsenso. Gli autori ammettono, in buona sostanza, che forse gli under-13 di oggi sono più attratti dalla storia come racconto che da improbabili tentativi di addestrarli alla valutazione critica delle fonti, e che per loro conoscere i fatti concreti potrebbe essere più utile che perdersi nei “grandi temi” astratti.

È, chiaramente, una bestemmia contro due dei comandamenti pedagogici più cari a quell’intellighentsia di sinistra che domina, nel bene e nel male, le scuole italiane. Ma è anche un bagno di realtà. Tutti conosciamo i dati inquietanti sul crollo delle capacità linguistiche e, di recente, anche di quelle cognitive e relazionali dei nostri under-13. Che la parola d’ordine sia “ripartire dalle basi” non dovrebbe destare stupore.

Desta stupore, però, che in questa cornice di generale buonsenso spunti una dichiarazione così lapidaria come Solo l’Occidente conosce la storia. Vediamo come viene motivata:

“Altre culture, altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente assomiglia, come compilazioni annalistiche di dinastie o di fatti eminenti succedutisi nel tempo; allo stesso modo, per un certo periodo della loro vicenda secolare anche altre civiltà, altre culture, hanno assistito a un inizio di scrittura che possedeva le caratteristiche della scrittura storica. Ma quell’inizio è ben presto rimasto tale, ripiegando su sé stesso e non dando vita ad alcuno sviluppo; quindi non segnando in alcun modo la propria cultura così come invece la dimensione della Storia ha segnato la nostra”.



Ora, il mio sconforto di fronte a queste parole non è dovuto solo alla consapevolezza che ormai siano false. È dovuto soprattutto alla consapevolezza che sono anti-occidentali. Ammettiamo pure che per secoli le altre civiltà abbiano conosciuto solo l’annalistica e non la storia, intesa come ricerca metodica, rigorosa e il più possibile imparziale. Ebbene: se oggi, come è evidente, anche quelle civiltà contano ottimi storici che pubblicano studi eccellenti, l’Occidente dovrebbe farsene un vanto. Se oggi siamo stati raggiunti e talvolta superati nell’applicare il metodo storiografico, proprio come nell’applicare il metodo scientifico, dovremmo gioirne, non vergognarcene.

Che senso ha fingere ancora di vivere ai tempi di Marc Bloch, e difendere un’indifendibile “esclusiva” di noi occidentali sulla storia, quando possiamo guardare con fierezza a come l’Asia – e sempre più spesso anche l’Africa –  stia facendo ricerca storica nello stile in cui la facevamo noi, peraltro mandando tuttora migliaia dei suoi giovani più promettenti a formarsi nelle nostre università?
Che senso ha mostrarci animati da sentimenti gelosi e meschini, quando potremmo sfoggiarne di generosi?

Il Mito dell’esclusività occidentale: una Visione anacronistica della storia

C’è poi un altro aspetto da non sottovalutare. Il mito dei popoli non occidentali come “ignari della storia”, immersi in un eterno presente o addormentati in un tempo ciclico che fa ripetere gli eventi sempre identici a sé stessi, è insidioso da evocare.

E non tanto perché in un lontano passato fu funzionale alle ambizioni espansionistiche degli imperi occidentali, portatori – veri o presunti – di un progresso che risvegliava i dormienti e spezzava le catene del tempo ciclico. Ma perché, in un passato recentissimo, è stato funzionale a costruire quel mito terzomondista e buonselvaggista che contrappone i popoli non occidentali, ritenuti puri e innocenti, a quelli occidentali, ritenuti corrotti e spietati. Il mito, insomma, che ha diviso arbitrariamente l’umanità tra carnefici e vittime, assegnando altrettanto arbitrariamente il ruolo di carnefici agli occidentali e quello di vittime a chiunque altri.
 
Questo mito, già latente dal ‘700, fu portato alla ribalta in un primo momento da Lenin, che aveva l’esigenza di dipingere la Russia (ovvero il più autoritario e imperialista degli stati autoritari e imperialisti) come la capofila degli oppressi del mondo. Ma cominciò a diventare egemone nella nostra cultura negli anni ‘60, quando il problema era dare un futuro alla lotta “antiborghese” e “anticapitalista” in un momento nel quale i proletari europei stavano sempre meglio, il comunismo sovietico aveva perso attrattiva col rapporto sui crimini di Stalin e con la repressione in Ungheria, e soltanto la decolonizzazione sembrava capace di sfornare un pantheon di eroi digeribili (da Ho Chi Minh a Mao Zedong passando per Castro e Arafat).

Ma proprio questo mito colpevolizzante, molto più del ricordo della guerra mondiale, è stato il vero responsabile della “trasformazione morale” di noi europei in caratteri passivi, incapaci di difendere i nostri interessi e in preda a un’esasperante crisi di identità.

Come affermò Vladimir Putin dieci anni fa, celebrando il primo anniversario dall’occupazione della Crimea: “Per cosa dovrebbero combattere oggi gli europei? Non lo saprebbero neanche loro. Noi, invece, sappiamo benissimo per cosa combattiamo”. Parole a cui hanno fatto eco qualche giorno fa quelle del suo ministro Sergej Lavrov: “Tutte le tragedie degli ultimi 500 anni sono avvenute in Europa o per colpa delle politiche degli europei”.

La negazione della consapevolezza storica altrui indebolisce l’Occidente

Ora, chi fa ricerca storica sa benissimo che sono sciocchezze. Se la storia è quell’insieme di lotte per il potere, oppressione e fanatismo a cui la natura umana è incline ovunque, i popoli non occidentali l’hanno sempre conosciuta benissimo. Le sofferenze spaventose che furono inflitte dagli aztechi all’America centrale, dagli zulu all’Africa meridionale o dai Moghul all’India non avevano niente da invidiare alle successive malefatte dei colonizzatori europei: spiegano, anzi, gran parte del loro successo.
Le guerre tra Ottomani sunniti e Safavidi sciiti fecero impallidire tutto ciò che stava accadendo negli stessi anni tra cattolici e protestanti. In Africa c’è chi comincia a chiedersi come mai si parli così tanto della tratta atlantica degli schiavi mentre si tace su quella araba, che durò molto di più e che non fu interrotta da una dichiarazione araba dei diritti dell’uomo bensì da una scarica di cannonate occidentali.

Insomma: quando gli imperi europei hanno battuto quelli extraeuropei, li hanno battuti al loro stesso gioco. Raccontarci un mondo di fantasia, nel quale fuori dall’Occidente vivevano dei primitivi “ignari della storia” che solo l’Occidente trascinò dentro la storia, nell’età vittoriana poteva forse farci venire un complesso di superiorità, ma oggi ci fa venire solo un complesso d’inferiorità e di colpa che avvantaggia chi ci vuole morti o schiavi.

No, ministro Valditara, l’Occidente non è l’unico a conoscere la storia. Al contrario: purtroppo al momento sembra l’unico che la sta dimenticando.