Tra dazi e chip, Trump mette Taiwan in pericolo

Guido Gargiulo
07/03/2025
Frontiere

Come il fulmine che di recente ha colpito la Taipei 101, il grattacielo più alto di Taiwan, così la tempesta Trump si abbatte sull’isola, scuotendone le fondamenta economiche e politiche. Da sempre sospesa tra le minacce di Pechino e il sostegno americano, Taiwan si trova ora ad affrontare nuove sfide che mettono alla prova la sua stabilità. Ma quali sono le reali implicazioni delle recenti mosse di Washington? E come influenzeranno il futuro dell’isola?

Il colosso taiwanese Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) è il cuore pulsante dell’industria globale dei semiconduttori. Leader nella produzione di chip avanzati, rappresenta un asset strategico non solo per Taiwan, ma anche per gli Stati Uniti, sempre più determinati a ridurre la loro dipendenza dalla produzione estera.

L’amministrazione Trump ha imposto forti pressioni su TSMC per spingerla a investire negli Stati Uniti. Il risultato? Un colossale piano di investimenti da 100 miliardi di dollari per la costruzione di nuovi impianti in Arizona, con un impegno complessivo che sfiora i 165 miliardi di dollari. L’obiettivo dichiarato è chiaro: riportare la produzione di semiconduttori sul suolo americano, garantendone il controllo diretto da parte di Washington.

La spada di Damocle dei dazi e la strategia di TSMC

Ma la strategia di Trump non si limita a incentivare gli investimenti interni. Il presidente minaccia infatti di imporre pesanti dazi sulle importazioni di chip, colpendo direttamente l’industria taiwanese. L’ipotesi di un’aliquota del 25% sui semiconduttori made in Taiwan rischia di minare l’economia dell’isola, il cui PIL dipende fortemente dall’export hi-tech.

Parallelamente, Trump ha proposto l’eliminazione del CHIPS Act, il piano da 52,7 miliardi di dollari volto a stimolare la produzione di semiconduttori negli USA. Secondo la sua visione, i dazi sarebbero sufficienti a spingere le aziende del settore a investire negli Stati Uniti, senza necessità di ulteriori sussidi. Tuttavia, questa posizione trova forte opposizione: la governatrice di New York, Kathy Hochul, ha evidenziato che il CHIPS Act ha già generato 100 miliardi di dollari e 50.000 posti di lavoro, mentre il deputato dell’Arizona, Greg Stanton, ha definito la proposta di Trump un “attacco diretto all’industria dei semiconduttori e ai lavoratori dello Stato”.

Di fronte a queste incertezze, TSMC ha deciso di diversificare i propri investimenti al di fuori degli Stati Uniti, con nuovi impianti in Giappone e Germania. La produzione dei chip più avanzati, però, resterà a Taiwan almeno nel breve periodo. Il ministro dell’Economia taiwanese ha confermato che i chip da 2 e 1.6 nm non verranno fabbricati negli USA nel 2025, assicurando che l’isola mantenga il proprio primato tecnologico.

Secondo l’analista Liu Pei-chen del Taiwan Institute of Economic Research, l’espansione di TSMC negli USA non ridurrà significativamente il peso strategico di Taiwan, sebbene la quota di produzione dell’isola potrebbe scendere al 75-80% una volta che gli impianti in Arizona saranno operativi.

Taiwan sa bene che non può permettersi di perdere il dominio nel settore dei semiconduttori. Un’eventuale applicazione dei dazi voluti da Trump potrebbe compromettere il futuro dell’isola, rendendola più vulnerabile agli occhi della Cina. Se Taipei dovesse perdere il suo “scudo di silicio”, verrebbe meno uno dei principali deterrenti nei confronti di Pechino, mettendo a rischio il precario equilibrio tra indipendenza economica e sicurezza nazionale.



Taiwan tra Pechino e il “fuoco amico” di Washington

Mentre gli Stati Uniti spingono per una rilocalizzazione industriale, la Cina osserva attentamente gli sviluppi. Pechino considera Taiwan un’isola ribelle e ha più volte dichiarato che la riunificazione è solo una questione di tempo. Qualsiasi indebolimento dell’economia taiwanese, in particolare nel settore strategico dei semiconduttori, potrebbe accelerare i piani cinesi, con conseguenze preoccupanti per la sicurezza dell’isola.

Il governo di Taipei, guidato da Lai Ching-te, cerca di rassicurare la popolazione, promettendo di mantenere prioritari gli investimenti in difesa nonostante le difficoltà economiche. Allo stesso tempo, punta a consolidare i rapporti con Washington, cercando di mitigare l’impatto dei dazi attraverso l’avvio degli impianti in Arizona.

La tempesta Trump potrebbe essere solo l’inizio di una lunga fase di turbolenze per Taiwan. La partita dei semiconduttori è appena cominciata e il suo esito potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici tra Washington, Taipei e Pechino nei prossimi anni.