Winston Churchill: 150 anni dopo, il leader che manca al presente

Vincenzo D’Arienzo
05/12/2024
Radici

Il 30 novembre 1874 nasceva Winston Churchill, figura iconica e controversa della politica e della storia del XX secolo. In un’epoca segnata da conflitti globali e trasformazioni geopolitiche, Churchill si è affermato come il simbolo della resistenza contro il nazismo, un uomo capace di mobilitare una nazione con il potere della parola e della leadership. Eppure, a 150 anni dalla sua nascita, ci si interroga sul significato del suo lascito e sulla mancanza di figure analoghe nel panorama politico odierno.

Un uomo del suo tempo

Churchill non è stato solo il primo ministro che ha guidato la Gran Bretagna “nell’ora più buia” della Seconda guerra mondiale. È stato un figlio della sua epoca, plasmato dall’impero britannico e dalle ideologie coloniali che oggi lo rendono bersaglio di critiche. Nato nella sontuosa residenza di Blenheim Palace, discendente dei duchi di Marlborough, e figlio di Jennie Jerome, un’ereditiera americana, Churchill ha incarnato il privilegio e le contraddizioni dell’élite britannica. La sua carriera, iniziata come ufficiale dell’esercito, lo vide impegnato in Sudan e Sudafrica, spesso in difesa di un impero coloniale che molti oggi condannano.

Questo contesto storico è cruciale per comprendere l’uomo e il leader. Se da un lato Churchill ha rappresentato i valori del suo tempo, dall’altro la sua capacità di adattarsi e reinventarsi gli ha permesso di superare sconfitte personali e politiche. Un esempio emblematico è la sua caduta dopo la disastrosa campagna di Gallipoli durante la Prima guerra mondiale, seguita da un sorprendente ritorno come primo ministro nel 1940, pronto a promettere “sangue, fatica, lacrime e sudore” per resistere all’invasione nazista.

Il mito e le ombre

Oggi Churchill è celebrato come uno dei più grandi statisti del XX secolo, ma la sua figura non è priva di ombre. Le critiche mosse contro di lui, dalla gestione repressiva delle colonie alle decisioni politiche controverse, evidenziano quanto fosse profondamente legato a un mondo che stava già cambiando. La sua visione strategica durante la guerra, pur decisiva per la vittoria alleata, è stata descritta da alcuni studiosi come più reattiva che innovativa. Tuttavia, ciò non sminuisce la sua capacità di guidare una nazione in tempi di crisi, un talento che oggi appare sempre più raro.

Le celebrazioni per i 150 anni dalla nascita di Churchill, tra mostre, pubblicazioni e nuove emissioni filateliche, offrono l’occasione per riflettere non solo sul personaggio storico, ma anche sul suo ruolo come simbolo di leadership. Churchill ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1953 per la sua capacità di raccontare la storia e difendere i valori umani, un riconoscimento che sottolinea il potere delle idee e della narrazione nella politica.

Churchill oggi: una leadership che manca

In un mondo segnato da instabilità, conflitti e crisi politiche, Churchill viene spesso evocato come esempio di una leadership visionaria e coraggiosa. Tuttavia, i suoi imitatori moderni, come l’ex primo ministro Boris Johnson, non sono riusciti a eguagliare né il suo spessore né la sua capacità di ispirare fiducia. Questo rafforza la percezione di un vuoto politico, in cui la mancanza di figure capaci di affrontare le sfide globali con la stessa fermezza e lungimiranza è particolarmente evidente.

Churchill era un uomo complesso, fatto di contraddizioni e grandezze, la cui eredità offre ancora oggi lezioni preziose.

Prendiamo la questione europea. Uno dei suoi discorsi più famosi sull’argomento fu pronunciato all’Università di Zurigo, in Svizzera, il 19 settembre 1946. Qui Churchill propose la creazione di una struttura sovranazionale per l’Europa.

“Dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d’Europa. Solo così centinaia di milioni di lavoratori saranno in grado di riprendere a vivere e a sperare”

In questo discorso, Churchill identificò l’unificazione europea come un modo per evitare future guerre e garantire la prosperità del continente. Riteneva che la Francia e la Germania dovessero essere al centro di questo progetto di cooperazione, superando le rivalità storiche tra le due nazioni. Eppure, nonostante fosse un sostenitore dell’idea di un’Europa unita, non immaginava il Regno Unito come parte integrante del progetto. Credeva che la Gran Bretagna dovesse mantenere un ruolo di mediatore, restando al centro di una comunità più ampia che includesse il Commonwealth britannico e gli Stati Uniti.

Churchill vedeva negli Stati Uniti d’Europa un modo per superare il nazionalismo esasperato e promuovere la pace.

“Se l’Europa si unirà in un modo semplice e pacifico, i suoi tre o quattrocento milioni di abitanti potranno godere della felicità, della sicurezza e della libertà che sono sconosciute in questa parte del mondo fin dai tempi dei Romani”

Anche se non era favorevole alla partecipazione diretta della Gran Bretagna negli “Stati Uniti d’Europa”, il suo appello a una maggiore cooperazione europea ispirò movimenti come il Congresso dell’Aia del 1948, che gettò le basi per la creazione del Consiglio d’Europa e, successivamente, della Comunità Europea.

Viene da chiedersi cosa farebbe o penserebbe Churchill oggi, nel mondo turbolento a 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Forse non servono “nuovi Churchill”, ma leader capaci di incarnare i valori universali che egli difese: la resistenza alla tirannia, il coraggio di prendere decisioni difficili e la capacità di guidare con una visione che guarda al futuro.

Il mondo attuale, tanto diverso da quello di Churchill, potrebbe trarre ispirazione da una delle sue citazioni più celebri: “Ho fede nella mia stella. Sono destinato a far qualcosa a questo mondo.” Un messaggio di speranza, ma anche un monito per le generazioni future a non aspettare eroi del passato, bensì a costruire una leadership all’altezza del presente.